La rete di Messina Denaro, altri tre arresti. I nomi e le storie
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Altri tre arresti nella lunga caccia ai complici di Matteo Messina Denaro.
I carabinieri del Ros hanno arrestato tre fiancheggiatori del boss. Si tratta tre uomini ritenuti vicini al capomafia durante la sua lunga latitanza. In carcere sono finiti un architetto originario del trapanese e che vive in Lombardia, Massimo Gentile (nella foto), un tecnico radiologo dell’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo, Cosimo Leone e un altro uomo, Leonardo Salvatore Gulotta.
15,30 - Nuove rivelazioni emergono sulla latitanza di Matteo Messina Denaro, il boss stragista arrestato nel gennaio 2023 dopo trent'anni di fuga.
Oltre al geometra Andrea Bonafede, il cui nome e identità erano stati utilizzati dal boss per curarsi, emerge un altro alias: quello dell'architetto Massimo Gentile, arrestato nell'ultimo blitz della Direzione distrettuale antimafia di Palermo.
Grazie a questa falsa identità, Messina Denaro si è spacciato per Gentile per comprare una moto nel 2007 e una Fiat 500 L nel 2014. La carta d'identità presenta la foto di un Messina Denaro più giovane, con gli occhi verdi, e la firma del boss, verosimilmente apposta da lui stesso.
L'acquisto della Fiat 500 L avvenne in una banca di Palermo, dove il boss, con 9 mila euro in contanti, si presentò come un commerciante di abbigliamento. La complicità di un dipendente della banca permise al boss di ottenere un assegno circolare e di acquistare l'auto.
Messina Denaro si muoveva con disinvoltura, pagava i bolli dell'auto in tabaccheria, la faceva revisionare e circolare liberamente. Il tutto mentre le forze dell'ordine lo braccavano da decenni.
Le indagini hanno inoltre portato alla luce una relazione tra il boss e una donna, con la quale si concedeva gite in moto e frequentazioni abituali. La donna ha confermato la liaison, avvenuta tra il 2015 e il 2020.
Le numerose carte d'identità false ritrovate nel covo di Campobello di Mazara saranno oggetto di ulteriori accertamenti per ricostruire i movimenti del boss e i suoi eventuali spostamenti all'estero.
14,15 - In fondo è sempre la stessa storia: la sanità pubblica, in Italia, funziona a colpi di conoscenze e favori. Anche per Matteo Messina Denaro.
Un tecnico radiologo dell'ospedale di Mazara del Vallo, Cosimo Leone (nella foto) è stato arrestato oggi nell'ambito delle indagini sulla latitanza di Matteo Messina Denaro. Il boss stragista, ricercato per decenni, ha potuto usufruire di una sanità pubblica "efficientissima" grazie alla complicità di alcuni insospettabili, tra cui il tecnico Leone.
Leone, cognato dell'architetto Massimo Gentile, anch'esso arrestato oggi, si sarebbe occupato di far fare una Tac urgente al capomafia, anticipandola più volte rispetto ai tempi standard. Il giorno dell'esame, inoltre, il tecnico chiese di cambiare turno per coincidere la sua presenza in ospedale con gli accertamenti diagnostici a cui il boss doveva sottoporsi.
Dalle indagini è emerso che Leone, durante il ricovero di Messina Denaro, avvenuto nel novembre 2020, gli consegnò un cellulare clandestinamente. Il boss, che all'epoca utilizzava documenti falsi, poté così comunicare con il suo fiancheggiatore Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che gli aveva prestato l'identità.
Leone era in costante contatto con Bonafede, aggiornandolo sullo stato di salute del boss. I due si sentivano decine di volte al giorno, soprattutto nei giorni in cui Messina Denaro era ricoverato. Le intercettazioni telefoniche e i tabulati telefonici hanno permesso agli investigatori di ricostruire i loro spostamenti e di delineare un sistema di favoreggiamento ben collaudato.
12,00 - E' un architetto, lavora a Limbiate, in provincia di Monza Brianza. E ha prestato l'identità a Matteo Messina Denaro.
Massimo Gentile è stato arrestato questa mattina perchè ritenuto uno dei fiancheggiatori del boss durante la sua latitanza.
Gentile, originario di Campobello di Mazara, cugino di secondo grado del killer Salvatore, la cui moglie – Laura Bonafede – è stata l’amante di Messina Denaro, avrebbe prestato la sua identità al capomafia latitante per comprare una macchina, una Fiat 500 L, nel 2014 e una moto Bmw F650 nel 2007.
Per diversi anni, quindi, il professionista avrebbe prestato la sua identità al latitante che girava indisturbato per Palermo dove era andato di persona a ritirare un’auto intestata a Gentile e a prelevare i soldi in banca.
Gentile ha anche gestito un ristorante a Mazzara del Vallo e dal 2019 si era trasferito a Limbiate dove lavora come istruttore tecnico nell’ufficio lavori pubblici del comune di Limbiate, dove vive, in provincia di Monza, occupandosi degli appalti finanziati dal Pnrr.
L'architetto recentemente ne ha ricevuto un altro dall’amministrazione di Turate, nel Comasco.
Da quanto emerso Gentile avrebbe lavorato per la ditta della moglie di Andrea Bonafede (già arrestato per lo stesso motivo nei giorni successivi alla cattura del latitante). Dalle analisi sui legami famigliari è anche emerso che Gentile e il marito di Laura Bonafede (l’amante del boss) sono legati da una parentela tramite i rispettivi padri che sono cugini di primo grado e legati alla famiglia di Messina Denaro.
10,00 - Matteo Messina Denaro non conduceva una latitanza alla luce del sole soltanto negli ultimi anni, a Campobello di Mazara, spinto dalla malattia ad uscire dal covo. Ma anche in passato non se ne stava rintanato. Anzi andava tranquillamente in banca, a comprare auto. Come una persona normale.
Come successo dieci anni fa, quando si presentò in una concessionaria di viale Regione Siciliana a Palermo per comprare una macchina con il documento di Massimo Gentile.
E' uno dei particolari che emerge dall'indagine che ha portato all'arresto di altri tre fiancheggiatori del boss. Tra questi c'è Massimo Gentile, cugino di Laura Bonafede, la maestra arrestata nei mesi scorsi, ritenuta l'amante del boss. Gentile è un architetto e lavora come responsabile dei procedimenti del servizio Lavori pubblici del Comune di Limbiate in provincia di Monza-Brianza. E' accusato di aver prestato l'identità a Matteo Messina Denaro, anni fa. Il boss avrebbe utilizzato i suoi documenti per compiere operazioni bancarie e comprare un'auto.
Tutto ciò 10 anni fa. Matteo Messina Denaro entra in una banca di Corso Calatafimi, a Palermo, per versare 9 mila euro e l'emissione di un assegno circolare. Il tutto con i documenti di Massimo Gentile. Firma un modulo in cui dichiara di essere nato a Erice e di essere un commerciante di abbigliamento.
Poi, con l’assegno in tasca, va a comprare la macchina aggiungendo mille euro in contanti. La 500 L negli anni seguenti sarebbe stata ceduta alla madre di Andrea Bonafede, il geometra fra i primi ad essere stato arrestato, per comprare la Giulietta soprannominata “Margot” nei pizzini.
In concessionaria lasciò il numero di cellulare. Il latitante usava l’utenza, ma l’intestatario era Leonardo Gulotta, anche lui arrestato oggi. Stessa cosa sarebbe avvenuta altre volte, anche in occasione della stipula delle assicurazioni.
7,00 Altri tre arresti nella lunga caccia ai complici di Matteo Messina Denaro.
I carabinieri del Ros hanno arrestato tre fiancheggiatori del boss. Si tratta tre uomini ritenuti vicini al capomafia durante la sua lunga latitanza. In carcere sono finiti un architetto originario del trapanese e che vive in Lombardia, Massimo Gentile (nella foto), un tecnico radiologo dell’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo, Cosimo Leone e un altro uomo, Leonardo Salvatore Gulotta.
Avrebbero tutti fatto parte della rete del boss.
Gentile, originario di Campobello di Mazara, cugino di secondo grado del killer Salvatore, la cui moglie – Laura Bonafede – è stata l’amante di Messina Denaro, è un architetto e lavora come responsabile dei procedimenti del servizio Lavori pubblici del Comune di Limbiate in provincia di Monza-Brianza.
Gentile avrebbe prestato la sua identità al capomafia latitante per comprare una macchina, una Fiat 500 L, nel 2014 e una moto Bmw F650 nel 2007.
Gulotta avrebbe permesso al latitante di utilizzare una sim a suo nome. Leone, tecnico radiologo dell’ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo, era un gancio interno e riservato per gestire la malattia del boss.
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