Mi piace ricordare Felice Licari come un uomo di grande poesia.
La poesia, infatti, non è qualcosa di etereo e immateriale. Piuttosto è qualcosa di concreto e tangibile. La parola poesia, infatti, nasce da un antico verbo greco che significa «fare», «comporre», «imbastire». E questa parola, nelle sue accezioni, descriveva perfettamente Felice. Che all’Ente Mostra di Pittura del Carmine ha sempre fatto, composto e imbastito. Ha messo in piedi mostre incredibili come quelle di Accardi e Sanfilippo, di Moncada, di Isgrò, di Gianquinto, di Consagra: ha dato alla nostra città la possibilità di essere un polo culturale invidiabile dell’arte contemporanea italiana.
Basterebbe la biblioteca dei cataloghi dell’Ente Mostra, basterebbe una passeggiata nelle stanze della pinacoteca, per renderci conto della grandezza del lavoro di quest’uomo (realizzato storicamente insieme alle luminose figure del notaio Salvo e del professor Troisi). Che, con i mezzi di un normale comune di provincia, e non con i sostentamenti che hanno le fondazioni internazionali, ci ha offerto la possibilità di educare il nostro sguardo al bello. Al profondo. All’eterno. All’arte. Alla poesia.
E per questo Felice Licari era un uomo di arte, era un uomo di poesia. E mi piace ricordarlo nella sua generosità, nel suo desiderio di raggiungere sempre più persone.
Perché, diciamocelo schiettamente, il lavoro di Felice Licari ci rendeva persone migliori e cittadini migliori.
La sua eredità non deve essere tradita: un grande compito è dato alla nostra comunità.
Marco Marino