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25/03/2024 06:00:00

Il Cinema a Salemi dai primi del novecento ai giorni nostri

E’ uscito in questi giorni un interessante volumetto dal titolo “Cinema a Salemi” del salemitano Vito Surdo, trasformatosi in un prolifico scrittore da quando ha lasciato la sala operatoria di ortopedia di un ospedale veneto.
Ricco di aneddoti, si presenta come un lungo piano sequenza di luoghi, personaggi, eventi che sembrano usciti dal celebre “Nuovo Cinema Paradiso” di Tornatore.

Un racconto che si legge tutto di un fiato, e non per la sua brevità, che ci fa conoscere personaggi vissuti nella prima metà del novecento, romantici pionieri della giovane rivoluzionaria arte cinematografica. La settima, come qualcuno la definì.
Uomini che meritano di appartenere alla memoria collettiva di un popolo, questo ci sembra essere l’intento del dottore Surdo il quale, con la sua nota ironia, ci descrive personaggi che sembrano emergere da uno scenario onirico, affascinati dalla nuova “diavoleria” che all’estero chiamavano“cinematografo”, un nome difficile da pronunziare. E di cui, subito ne avevano intuito potenziali fonti di reddito.

Forse perché avevano sentito dire da loro parenti emigrati che in America proliferavano dei locali chiamati Nickelodeon (sintesi tra nikel e Odeon), locali dove con 5 centesimi di dollaro il pubblico poteva assistere a degli spettacoli dove gli attori non erano presenti in carne e ossa ma si vedevano riflessi su un grande telone bianco. Una sorta di grandi fotografie animate.
Perché non farlo anche a Salemi si saranno domandati i tre ingegnosi Fratelli Terranova, gestori di una gioielleria-orologeria nella “Strata Mastra”. E cosi fu.

La prima sala cinematografica venne da loro inaugurata nel luglio del 1927. La intestarono, manco a dirlo, all’eroe dei due Mondi Giuseppe Garibaldi, che nel paese aveva soggiornato prima della battaglia di Calatafimi, e giusto il tempo per proclamare la Dittatura in nome del re Sabaudo.

Il Cinema Teatro “Garibaldi” si trovava in pieno centro storico, a qualche centinaio di metri dal Castello, all’interno del Collegio di Santa Chiara, in un salone al primo piano dell’edificio dove oggi e’allocata la biblioteca comunale.
Il proiezionista era Nicola Favuzza, antenato di Vincenzo Angelo, il gestore della libreria “L’Esagono” di oggi, mentre per la colonna sonora, al pianoforte, Paolo, uno dei tre fratelli, e Francesco Forte, al violino, eseguivano le musiche.
Dopo qualche anno, la strada tracciata dai fratelli Terranova, venne intrapresa da Giacomo Giacomazzi, rampollo di una famiglia benestante.

Non deve stupire tanto fervore nei confronti di questo nuovo tipo di spettacolo in un paese dell’entroterra siciliano. Sebbene fosse alla periferia di un nuovo Stato peraltro ancora arretrato, Salemi si distingueva per essere un’incubatrice di personalità, che eccelsero in tante branche dello scibile umano. Basti pensare ad Alberto Favara, Simone Corleo, Baviera. Del resto non erano questi i discendenti dell’ “Atene del Vallo di Mazara”alleata di Atene e antagonista di Selinunte?

L’intraprendente Giacomo aprì la sua sala cinematografica ricavandola da un magazzino che oggi si può individuare agli odierni numeri civici 141-143 della via Francesco Crispi.
Le pellicole erano in gran parte di argomento storico, religioso o di avventure. Non mancavano alla conclusione dello spettacolo le esilaranti “comiche”. Le proiezioni si tenevano nei fine settimana, nei pomeriggi di sabato e domenica. La sala era sempre piena e animata.

Il loro successo superò ogni piu’ rosea aspettativa, tanto da convincere Giacomo a trasferirsi in un locale piu’ grande che lo trovò nell’attuale piazza Riformati, adiacente ad un pastificio e deposito di cereali.
Su tutta la lunghezza del frontale esterno campeggiava a caratteri cubitali la scritta: CINEMATOGRAFO.
Per raggiungerlo si scendeva la via Dei Mille, da dove salirono i garibaldini provenenti da Marsala. Ma ciò che rendeva il locale unico al mondo, era la sua insolita collocazione.

Il suo portone si trovava in mezzo ad altri due ingressi, tra quello della Chiesa del SS. Crocifisso e quello del Cimitero comunale.
In questo modo, per due volte a settimana, anche i defunti potevano sentirsi meno soli. Le sonore risate dei loro discendenti suscitate dai vari Angelo Musco, Charlot, Stanlio ed Ollio, li raggiungevano dopo avere attraversato i tortuosi vialetti del camposanto
Ancora una volta il “profano” , si trovava a fare i conti con il “sacro”, da una parte, e il foscoliano "nulla eterno", dall’altra. Due aspetti topici dell'esistenza umana.

Per la cronaca, la chiesa oggi e’ancora funzionante, sia pure solo per alcuni funerali, mentre il cimitero e’ in continuo ampliamento. Del “Cinema Giacomazzi” rimane solo il nostro ricordo di oggi. Chiuse l’attività nel 1940, alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Nel biennio che va dal 1941 al’43, Salemi diventa un avamposto militare. La campagna circostante un immenso accampamento. Vi stanziavano decine di migliaia di soldati dell’Asse italo-tedesco in attesa di fermare l’arrivo delle forse Alleate.

Anche in questo breve periodo funzionò una sala cinematografica, adiacente al ginnasio e a beneficio delle truppe, ma a cui erano ammessi anche alcuni simpatizzanti del regime in disfacimento, anche se le pellicole erano di propaganda bellica inneggiante all’invincibilità del Terzo Reich. Cosa che verra’ smentita di lì a qualche anno.
Dentro le mura di casa però la gente attendeva trepidante l’arrivo degli Alleati. Dopo lo sbarco nei pressi di Gela, fu una questione di giorni. Sotto una insopportabile calura estiva arrivarono gli Americani. Li comandava il maggiore Chapman e li fotografava Robert Capa.

Per la precisione, era il 23 luglio del 1943 quando le avanguardie della V Armata americana varcarono le porte dell’antica Alicia.
A settembre inizia a Salemi l’era del tenente Armando Ferrari, un americano del Nebraska, di genitori emiliani. La definiamo “era”perché questo ufficiale italo-americano lasciò un ricordo indelebile, dotato di fascino e capacita amministrative sarà destinato ad essere immortalato intestandogli una sala cinematografica da lui voluta per oculata amministrazione, ma anche perché, perche no? per un discreto appeal nei confronti del mondo femminile. Si favoleggiò un numero esorbitante!

La sala, gestita da Giovanni Calia, battezzata appunto “Cinema Ferrara” ( e non “Ferrari”, ovviamente un errore) venne aperta al pubblico nel 1946, quando ormai la guerra era finita.
Si trovava in pieno centro storico, nel fabbricato che oggi si trova accanto alla Biblioteca comunale. Aveva 100 posti a sedere, le rumorose poltroncine di metallo, che procuravano un fastidioso frastuono quando gli spettatori, nei momenti piu’ drammatici delle storia, manifestavano la loro emozione percuotendole con calci e ugni. In certe occasioni, se i posti non erano sufficienti alcuni per assistere allo spettacolo portava con sé le sedie da casa.

Per l’inaugurazione fu proiettato “Gilda” di Charles Vidor, protagonista la diva Rita Hayworth, rimasta nella memoria collettiva per alcune scene ad alto tasso erotico, come quando canta con voce sensuale “Amado mio”, indossando un abito senza spalline che per l’epoca era ancora impensabile.
Fu, forse questo il motivo per cui in seguito le pellicole per essere proiettate dovevano passare dal vaglio censorio dell’arciprete Ardagna. Noto anche per avere governato la chiesa locale incontrastato per oltre quaranta anni.
Dal 1949 e per qualche anno, per volonta’ del sindaco dell’epoca, forse Salvatore Cognata, funzionò durante l’estate anche una Arena ricavata da un’area comunale, utilizzata fino a quel momento come a discarica.

La stessa area fu in seguito venduta ad un gruppo di privati (I fratelli Leone, un Corleo e il segretario comunale Bartholini (il conflitto non esisteva ancora, forse) i quali a loro volta vi costruirono un cinema che chiamarono “Cinema Teatro Italia”.
Una ampia struttura su due piani, con una platea, una tribuna, un palcoscenico e sei palchetti riservati ai proprietari, ma anche a persone da essi ritenute importanti: un ultimo retaggio classista di stampo ottocentesco. Per un totale di circa 500 posti a sedere. Le poltroncine non più in ferro ma in compensato. Per la sua inaugurazione venne proiettato “Duello al Sole” di King Vidor. Era il 1951.

Periodicamente, sul palcoscenico si esibivano anche compagnie di avanspettacolo di terz’ordine, che nell’epoca d’oro erano state il trampolino di lancio per tanti attori del calibro di Ciccio e Franco, Lino Banfi, Macario e gli stessi Toto’ e i De Filippo.
Ogni volta, queste rappresentazioni erano il pretesto per taluni di cui si diceva“che contavano” di millantare tra i tavolini del vicino Extra Bar loro presunte e improbabili imprese amorose consumate con le ballerine.

Funzionerà fino al 1968, anno del tragico terremoto. Il tentativo di riesumarlo nel 1975 lo fece Vito Cammarata gestendolo con una programmazione intelligente e differenziata. Con una sezione dedicata ai piccoli. Durò per alcuni anni. Fu costretto ad arrendersi all’andazzo dei tempi che decretavano la chiusura definitiva di tanti cinematografi.
Ma nel 1952 si apriva un nuovo cinema che, destino dei nomi, non poteva non che chiamarsi “Roma” , sorgendo nella stessa piazza Liberta’ e dirimpettaia della concorrente “Italia”.

 

La sua struttura era diversa, se quella dell’Italia era rettangolare, questa ricordava una conchiglia, e si estendeva su due piani, una platea e una galleria molto più ampia, come ha ricordato la discendente degli antichi proprietari, Anna Maria Fileccia.
Concorrenza, in effetti, tra i due locali non ce ne poteva essere in quanto le loro programmazioni erano completamente diverse e di conseguenza differente la tipologia di spettatori.

Il cinema Italia, destinato alle famiglie, privilegiava le produzioni Italiane. Accanto ai film di autori quali De Sica, Rossellini, Fellini, per lo piu’ si proiettavano i cosiddetti film strappalacrime ( I Figli di nessuno, Catene, Tormento ecc) di Matarazzo con Nazzari e la greca Yvonne Sanson. Riservati nei giorni festivi, il successo era straordinario. Ma vi si proiettavano pure le commedie italiane con un humor pecoreccio destinate a uomini soli e i cosiddetti “poliziotteschi” graditi ai palati forti.

I film che invece si proiettavano al “Roma” erano in gran parte hollywoodiani e in technicolor. Ma era presente anche la cinematografia inglese e francese. Il mercoledì era riservato al bianco e nero ai classici del noir, del giallo. Era essenzialmente il locale dei giovani che ebbero modo di conoscere i grandi attori dell’epoca come James Dean, Paul Newman, James Stewart, Liz Taylor, vedere i grandi western di John Ford e Howard Hawks, film drammatici come “Splendore nell'erba” con Natalie Wood o “Fronte del Porto” con Marlon Brando.

Anche il cinema Roma chiuse i battenti a causa della crisi generale, ma a differenza del cinema Italia di cui e’rimasto uno malinconico rudere e’ stato trasformato in moderna casa di civile abitazione.
Ma il rapporto di Salemi con il Cinema e’ andato oltre. E’ stata anche il set di grandi produzioni cinematografiche, molti suoi abitanti sono stati coinvolti come comparse, figuranti e persino caratteristi.

Per “Viva l’Italia” di Roberto Rossellini furono diverse centinaia le comparse, Giuseppe Caruso che ricopriva il ruolo dell’aiutante di Nino Bixio, sapendo cavalcare i cavalli, seguì la troupe fino a Roma. Per “Salvatore Giuliano”, il capolavoro di Francesco Rosi, alcune scene furono girate tra Salemi e Vita e il personaggio del mafioso fu interpretato da un salemitano. Di recente, anche per “Iddu”, l’ultimo film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, non ancora uscito, sono state utilizzate alcune decine di comparse e la scena del bar, della loggia massonica e l’attentato sono state girate nel centro storico.

Diceva François Truffaut, il grande regista francese, che fare un film serve a migliorare la vita, sistemarla a proprio uso e conumo, ma serve anche a prolungare i giochi della nostra infanzia.
Ecco! Forse il libretto di Vito Surdo potrebbe servire anche e soprattutto a questo, a prolungare i giochi della nostra gioventù.
Primo di tutto a lui quando si divertì a girare un film dal titolo “Omini, ominicchi e quaquaraqua” , come racconta nel libro, e poi a noi lettori, compreso chi scrive, che di una buona parte di questi racconti siamo stati anche protagonisti.

Franco Ciro Lo Re

 

 



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