Convenzioni per l’esecuzione penale esterna e di messa alla prova in provincia di Trapani verranno firmate, lunedì prossimo, a Marsala. A firmare le convenzioni saranno il presidente del Tribunale di Marsala, Alessandra Camassa, il direttore dell’Ufficio locale di Esecuzione penale esterna di Trapani, Rosanna Provenzano, e i sindaci di Trapani e Mazara del Vallo, rispettivamente Giacomo Tranchida e Salvatore Quinci.
Si tratta, spiega una nota dell’Ufficio esecuzione penale esterna di Trapani, di “protocolli in materia di lavori di pubblica utilità nei casi di sospensione del procedimento con messa alla prova”.
Nell’occasione, inoltre, il Comune di Mazara del Vallo procederà alla sottoscrizione, direttamente con l’Ulepe, dei protocolli in materia di attività di volontariato a valenza riparativa.
I due Comuni assumeranno, in tal modo, un impegno che consentirà di contribuire al recupero sociale dei soggetti sottoposti a procedimenti penali. “Nello specifico – continua la nota - tali convenzioni hanno la pregevole finalità di favorire e ampliare lo sviluppo di una rete integrata, qualificata e differenziata in tutto il territorio marsalese e, a ricaduta, sull’intera provincia di Trapani, così da concretizzare percorsi di inclusione sociale a favore di persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria. In tal modo si favorisce nel soggetto inserito un percorso di riflessione e responsabilizzazione attraverso una progettualità condivisa, rafforzando l’ottica riparatoria e la riconciliazione nei confronti della comunità, di cui gli enti locali costituiscono la parte più prossima e vicina al cittadino e parte attiva nei processi di inclusione sociale”. Con la sottoscrizione dei protocolli, si prosegue, si intende anche stimolare un nuovo senso di “Giustizia di comunità”, inteso come realtà in cui tutte le parti, istituzionali e appartenenti alla società civile, hanno un ruolo attivo nel processo di responsabilizzazione e inclusione sociale del soggetto coinvolto in un procedimento penale. La “messa alla prova” può essere chiesta dall’indagato o imputato, ma anche dal pm, nei procedimenti penale per reati di “minore allarme sociale”. Ovvero, quelli che prevedono una pena massima non superiore ai sei anni di carcere. La legge è stata approvata nel 2014 “per rendere più celere – spiega il sito web del Ministero della Giustizia - la definizione dei procedimenti giudiziari. Previsti “percorsi risocializzanti o riparatori” presso istituzioni pubbliche, enti e organizzazioni di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato”.