Matteo Messina Denaro e massoneria: le indagini boicottate nella Procura di Palermo
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“In otto anni ho constatato che il latitante godeva di una vasta rete di protezioni, veniva sempre preventivamente a conoscenza (o ne veniva messo al riparo) delle nostre attività". Parole di Teresa Principato, che sul Fatto Quotidiano, in occasione della promozione del suo libro, "Siciliana", torna a parlare della rete di protezione di Matteo Messina Denaro.
In procura dalla fine degli anni 80 nel nucleo storico di pm vicini a Falcone e Borsellino, il pubblico ministero in pensione Teresa Principato, che per sette anni ha dato la caccia a Messina Denaro, si racconta in Siciliana (Fuori Scena) rivelando retroscena degli anni della lotta alla mafia. E insiste sempre su una convinzione: "Le mie indagini sul ruolo della massoneria sono state boicottate nella procura di Palermo".
Intanto è caccia ai finanziatori di Matteo Messina Denaro.
Gli ultimi fiancheggiatori del boss sono stati arrestati nei giorni scorsi, sono i fratelli Antonino e Vincenzo Luppino, figli di Giovanni, l’autista del latitante arrestato nel blitz alla Maddalena.
I fratelli Luppino, però, non sarebbero stati soltanto fidati autisti e scorta di Messina Denaro.
Il Gico del nucleo di polizia economico finanziaria di Palermo ha ricostruito la loro intensa attività economica nel settore della produzione dell’olio. Attività lecita, ufficiale, ma con tante stranezze, riporta Repubblica: «Negli anni 2017 e 2018 — è scritto in un rapporto delle Fiamme gialle alla procura — sui conti correnti di Antonino Luppino sono stati effettuati in favore di Laura Bonafede (l’amante di Messina Denaro — ndr) bonifici per un importo complessivo di 81.623 euro, non giustificati da fattura». Il sospetto dei finanzieri e dei magistrati è che i Luppino abbiano fatto parte di un “cerchio magico” di imprenditori che era il bancomat del latitante.
Gli ultimi, ma non gli unici ovviamente.
Negli anni le attenzioni degli investigatori si sono concentrate anche su altri personaggi e imprenditori che avrebbero sostenuto economicamente la latitanza del boss. Come Carlo Cattaneo, manager delle scommesse online, che nel giro di pochi anni aveva trasformato la sua piccola agenzia di Castelvetrano in una rete efficientissima di punti gioco, in provincia di Trapani ma anche in quella di Palermo
Tutto ciò grazie all’aiuto prima del nipote prediletto del superlatitante, Francesco Guttadauro, poi, del cognato del boss, Rosario Allegra. Cattaneo era riconoscente di questa fortuna, infatti una telecamera nascosta ha ripreso pacchi di banconote consegnate ad Allegra. Cattaneo negli anni passati è stato arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa.
Altri complici e finanziatori sono ancora senza un nome. Però figurano, con pseudonimi, nei pizzini di Messina Denaro. Parmigiano, W, Gatti, Reparto, Ciliegia, Stazzunara, Grezzo, Complicato, sono i misteriosi complici del boss.
«Non è nella mia cultura accusare, ci sono persone che mi hanno aiutato» ha detto Messina Denaro nel suo interrogatorio.
Gli investigatori, coordinati dal capo della procura di Palermo Maurizio De Lucia, stanno cercando di ricostruire la rete di finanziatori che negli ultimi trent’anni hanno favorito la latitanza del padrino delle stragi, i suoi affari e la gestione del patrimonio mai sequestrato. Un lavoro complesso, che ha già dato i suoi frutti con l’arresto di undici tra parenti e complici.
Tra l’altro sia “Parmigiano” che “W” comparivano già in alcuni biglietti trovati nel 1996.
Ha scritto il gip Alfredo Montalto, che ha firmato l’ordinanza di arresto per i fratelli Luppino: «Messina Denaro non avrebbe potuto rivolgersi se non a persone che godevano della sua assoluta fiducia per avere quel prolungato rapporto che è stato compiutamente delineato dalle indagini della polizia giudiziaria e che gli ha consentito non solo di mimetizzarsi in modo straordinariamente efficace e di protrarre così a lungo la propria latitanza ma, prima ancora e soprattutto, di continuare ad esercitare le proprie funzioni di vertice in ambito associativo».
Nel frattempo sul fronte giudiziario il legale di Giovanni Luppino ritiene che il reato contestato debba essere derubricato in concorso esterno, e non in associazione mafiosa. La Procura di Palermo ha chiesto la condanna a 14 anni e 4 mesi.
Troppi, secondo l’avvocato Jimmy D’Azzò. C’è l’ammissione del fatto che Luppino abbia aiutato Messina Denaro, ma nega che l’imputato sia un mafioso.
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