Trapani, il giovane suicida tra soprusi e angherie
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Tra poco meno di un mese avrebbe compiuto 22 anni, Ousmane il cantante, come amava definirsi.
Invece si è impiccato all’alba di domenica alle sbarre della sua cella a Ponte Galeria. Dopo l’incendio al Cpr di Milo, il ragazzo era stato trasferito a Roma.
Poco prima, a metà gennaio, aveva saputo di dover trascorre altri 15 mesi nel centro di permanenza per i rimpatri perchè notificato il decreto che prolungava la sua detenzione amministrativa da 3 a 18 mesi.
Questo prevedono le nuove norme del decreto Cutro per chi è in attesa di rimpatrio.
Un rimpatrio impossibile perché Ousmane era privo di documenti, e in assenza di un accordo tra Italia e Guinea, lui rimaneva in stato detentivo, con nessuna possibilità neanche di un ritorno volontario assistito, non previsto per chi è trattenuto in un Cpr.
La procura ha aperto una indagine per istigazione a suicidio.
La valutazione psicologica
"Scontroso, ribelle, non collaborativo con gli altri ospiti, aggressivo".
Questa la valutazione della psicologa dell'Asp di Trapani su Ousmane che al cpr di Trapani aveva partecipato alla vandalizzazione del centro inimicandosi la gran parte degli altri ospiti, costretti in condizioni disumane a dormire sul cemento e ad usare un solo bagno in comune.
Poi, due settimane fa, dopo l’incendio al Cpr di Trapani, il trasferimento a Ponte Galeria e il peggioramento del suo stato mentale. I
l giorno prima del suicidio aveva scritto sul muro le sue ultime parole di saluto alla sua mamma.
“Mia madre non fa altro che piangere per me. Mi manca molto, come mi manca l’Africa. Quando morirò voglio tornare lì e da lei. I militari italiani non capiscono. Che la mia anima riposi in pace».
Così ha scritto nel suo testamento sul muro sopra la branda dove dormiva.
Il messaggio in francese è accompagnato anche da un suo autoritratto con i capelli lunghi e gli occhi tristi.
Nell’ultima valutazione psicologica di Ousmane, difeso dall’avvocato Giuseppe Caradonna, effettuata il 14 novembre scorso nel Cpr di Trapani, la dottoressa che lo visita sollecita “il trasferimento presso una struttura più idonea a rispondere ai suoi bisogni, in cui siano previsti maggiori spazi per interventi a supporto e una maggiore supervisione delle sue problematiche”.
Cosa diceva l’Asp
Sulla perizia psichiatrica del 14 novembre 2023, redatta dalla psicologa dell’Asp, si legge
“Ousmane Sylla nato il 03 03 2002 in Guinea è entrato nel CPR Milo-Trapani in data 14.10 2023.
Al colloquio psicosociale dichiara di essere celibe e non avere figli.
Ha conseguito la terza media e alla domanda che lavoro hai svolto, risponde di essere un cantante adora cantare. I suoi genitori, due sorelle e sue fratelli si trovano in Guinea.
Racconta di essere arrivato sei anni fa, inizialmente ha vissuto in una comunità per minori a Ventimiglia in Liguria poi una volta raggiunta la maggiore età è stato trasferito presso la casa- famiglia di Sant’Angelo in Theodice (Cassino).
Racconta che all’interno della casa-famiglia era solito cantare, ma questo suo hobby non era ben visto dal resto degli ospiti.
Così un giorno viene picchiato. In conseguenza delle percosse subite, Sylla si reca al Consiglio Comunale di Cassino, convito di trovarsi in Questura per denunciare la violenza di cui si dichiara vittima.
VALUTAZIONE PSICOLOGICA
Il tono dell’umore di Sylla è sempre particolarmente agitato e irrequieto, sia in sede di colloquio che all’interno del settore in cui alloggia.
Sono presenti evidenti difficoltà nella comprensione delle domande esposte.
Il suo eloquio è scarso e ripetitivo, non va altro che ripetere di voler tornare in africa e offende verbalmente chiunque si avvicini a lui.
Fin dal primo momento al cpr di milo ha mostrato un atteggiamento scontroso e di grande ribellione.
Non è collaborativo, né con gli altri ospiti, ne verso gli operatori del centro poco disponibile al dialogo e all’ascolto. Ha sempre esplicitato un comportamento aggressivo e scontroso, sia ai danni della struttura ospitante che nei riguardi degli altri presenti (operatori e ospiti) tirando sassi, bottiglie, distruggendo e vandalizzando un intero settore, creando di conseguenza ingenti danni strutturali e limiti di abitabilità per sé stesso e per gli altri occupanti.
A livello socio relazionale, l’utente crea grave scompiglio e disturba continuamente la quiete e il riposo degli altri ospiti sia durante le prime ore del giorno che per l’intera notte, provocando intenzionalmente rumori acuti e ripetitivi, urlando e insultando.
Tali dinamiche esposte sono causa di tensione tra gli ospiti emotivamente e psicologicamente stremati, che non gradiscono più la presenza di Sylla e, di conseguenza, hanno assunto nei suoi confronti un atteggiamento intimamente inamichevole e ostile.
Per tali ragioni ritengo che l’utente possa trarre beneficio dal trasferimento presso un’altra struttura più idonea a rispondere dei suoi bisogni, in cui siano previsti maggiori spazi per interventi supportivi e una maggiore supervisione delle problematiche esposte.”.
Scrivono in una nota i vertici locali del Pd:
La notizia del migrante morto suicida al Cpr di Roma, dopo il trasferimento dal Cpr di Milo ci rattrista e preoccupa perché mette il luce, ancora una volta, l'inadeguatezza di questi centri, che avevamo denunciato anche prima della visita ispettiva svolta insieme all'On. Giovanna Iacono.
Dalle informazioni che abbiamo acquisito in queste ore, grazie alla collaborazione e alla disponibilità dell'Avv. Caradonna, il ragazzo guineano aveva gravi problemi, tali da rendere incompatibile la sua permanenza all'interno del centro, così come segnalato dallo stesso legale d'ufficio, che chiedeva il trasferimento considerando rischiosa la sua permanenza nella struttura.
Una tragedia che si poteva e doveva evitare, perché è impensabile che in una struttura dello Stato si arrivi al suicidio, peggio se tutti gli operatori avevano prudentemente segnalato un rischio concreto.
La frase lasciata dal ragazzo, infine, che chiede che il suo corpo venga riportato in Africa, dà la dimensione della disperazione di chi si ritrova, bloccato in un centro di detenzione per mesi, senza una reale possibilità di rimpatrio, in assenza di accordi con i paesi di provenienza.
I Cpr non sono strutture adeguate e vanno chiusi, ritornando ad un accoglienza vera, che crei sicurezza ed integrazione.
Non si comprende in uno Stato democratico quale sia il motivo di privare della libertà soggetti che non hanno commesso alcun crimine, se non quello di sperare in una vita migliore.
Anna Restivo
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