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22/01/2024 06:00:00

"Così, in nome dell'efficenza, si sacrifica il diritto"

 A poco più di due settimane dall'inizio dell'anno e a due mesi esatti, il 17 Novembre scorso, dalla firma dei protocolli d'intesa sottoscritti dal Tribunale di Marsala con alcune associazioni di volontariato e cooperative sociali per dare immediata attuazione al nuovo sistema penale previsto dalla riforma Cartabia, sono entrate in vigore anche le norme concernenti le modalità tecniche della giustizia digitale sia civile che penale. Nel frattempo il Governo nazionale rimanda gli atti alle commissioni giustizia di Camera e Senato affinché esprimano i propri pareri sul testo dei correttivi, modifiche e integrazioni, da approvare entro febbraio. Come in tutte le riforme ci sono i sostenitori e gli oppositori, ma in questo caso sembrano sussistere soprattutto malumori.

Ne abbiamo voluto parlare con l'avvocato Diego Tranchida, penalista di lungo corso, decano del Foro di Marsala.

Avvocato, è davvero una riforma che potrà snellire la giustizia e decongestionare le carceri oppure, come molti sostengono, il “sistema Italia” non è ancora attrezzato per il raggiungimento di questi obiettivi?

Parlare della Riforma Cartabia, dal nome del Ministro della Giustizia dell’epoca, ad appena un anno dalla sua entrata in vigore appare troppo presto per un bilancio che avverrà comunque fra quattro anni, per come stabilito dallo stesso decreto legislativo. E forse oggi, parlarne, appare del tutto inutile se si considera che è già in arrivo una ulteriore e più organica riforma del processo penale per opera dell’attuale Ministro della Giustizia.

 

Cioè stiamo sprecando fiato e miliardi di euro per una riforma, quella della Cartabia, che non faremo in tempo ad attuare in toto perchè già in arrivo una nuova riforma, quella del ministro Nordio? Ma qual'è il senso di questa altra riforma?

Si vogliono, con questa nuova riforma recuperare i tratti del processo accusatorio introdotti trent’anni fa dal Codice Vassalli per un processo accusatorio “all’italiana”, per non dire “all’americana”; un processo però rivelatosi alla prova dei fatti troppo squilibrato in favore del pubblico ministero svilendosi così come un vero e proprio processo di parti ad “armi pari”. Ora con la Riforma Cartabia, invece, si assiste ad un ritorno dell’inquisitorio dandosi centralità alla fase delle indagini preliminari con l’esigenza della completezza e non più a quella del dibattimento, vera sede naturale della formazione della prova.

 

Avvocato, il suo sembra un modo garbato per dire che con questa riforma in chiave “europeista”, siamo spofondati a trent'anni indietro ovverosia a quando, prima della riforma Pisapia – Vassalli (entrata in vigore il 24 ottobre 1989) il rito penale era ancora inquisitorio....

Si assiste ad una deprocessualizzazione in nome di un efficentismo che finisce con lo spingere l’imputato ad uscire il più possibile dal processo per una definizione immediata. L’efficienza, dunque, elevata a fine primario del processo, questa è la vera cifra della riforma Cartabia. I tempi di definizione del nostro processo penale, infatti, risulterebbero di gran lunga superiori agli standard europei, collocandolo tra i più lenti d’Europa. Non sempre però fare presto vuol dire fare bene, visto che il processo penale è un accertamento di fatti nel rispetto delle garanzie difensive. Comunque, va ricordato che l’Italia è al primo posto in Europa per le condanne subite dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per irragionevole durata dei processi sia civili che penali. Pertanto, l’obiettivo della Cartabia è quello di ridurre il tempo di durata del processo penale almeno del 25%.

 

Detto tra noi non sembra neanche poco, anzi, considerate le peculiarità del sistema giudiziario italiano e le usuali tecniche dilatorie degli avvocati, potrebbe addirittura essere un miraggio.

Non si può certo dire che la lungaggine dei processi sia anche colpa degli avvocati che allungano i processi con ogni metodo sfruttabile in quanto gli stessi svolgono un’attività che rientra pienamente nel legittimo esercizio delle garanzie difensive e l’art. 111 Cost. comunque assegna il compito di assicurare la ragionevole durata del processo al legislatore e non al difensore ed al suo assistito che potevano anche mirare al raggiungimento della prescrizione quando la stessa non si arrestava con la sentenza di primo grado. Peraltro, la ragionevole durata dei processi civili e penali implica, come sappiamo, l’erogazione dei fondi a favore dell’Italia del PNRR che la riforma Cartabia si pone pure come obiettivo. Per tale accelerazione del processo la Riforma prevede alcune scorciatoie non sempre accettabili come quelle, per esempio, dell’utilizzo della videoregistrazione nel caso in cui un giudice viene trasferito nel corso di un processo senza che colui che lo sostituisce può avere un contatto diretto con la prova già acquisita, sia un teste od altra prova dichiarativa. Si perde dunque l’immediatezza con la prova con quel che comporta per una più genuina valutazione.

 

Quindi pur di non perdere i fondi del PNRR il Governo ha approvato una riforma che mira a modelli di efficienza e competitività a discapito di qualche diritto e a cui tuttavia adesso va messa qualche toppa in attesa che il ministro faccia la nuova riforma.

Per la Cartabia bisogna andare avanti e speditamente, dunque, senza intralci ed anche il più possibile con processi a distanza e virtuali, cioè con l’imputato lontano dall’aula e dai giudici, ma soprattutto dal processo di cui è protagonista comprimario. Poi, dal punto di vista sanzionatorio si affacciano, come novità, le pene sostitutive che servirebbero a chiudere in prima battuta il processo che però sicuramente non troveranno larga applicazione in quanto saranno applicabili dal giudice della condanna privo di una competenza specializzata e comunque a soggetti “quasi” incensurati. Un’altra novità è quella della improcedibilità, cioè una vera e propria mannaia per il processo se in appello o in cassazione decorrono i termini di due anni o di un anno senza che si arrivi a sentenza. L’imputato se vuole può rinunciarvi. Comunque per l’ergastolo e per i reati più gravi non è prevista. Invece per quelli complessi, cioè con più imputati o parti costituite, sarà il giudice a valutare di volta in volta se dichiarare l’improcedibilità agendo così con una sorta di delega in bianco anche se nei confronti del provvedimento di un giudice che non vuole decretare la morte di un processo è previsto un apparente rimedio quale quello del ricorso per cassazione. Altra novità assoluta per il nostro ordinamento è la giustizia riparativa che avrà molto a che fare con i sentimenti e gli interessi delle vittime del reato e dei loro autori per raggiungere una disperata pacificazione con possibili risvolti premiali e sociali non indifferenti in quanto si va oltre ogni intento risarcitorio.

 

In un certo senso questa riforma promette più di quanto possa realmente dare.

La mia personale opinione sulla Riforma Cartabia è che la intrapresa direzione del processo penale appare ancora confusa e soprattutto di non facile gestione per le carenze di organico, strutture e risorse ancora assai evidenti e difficilmente colmabili nel sistema giustizia. Infatti, la sperata funzione deflattiva non è dietro l’angolo così come già avvenuto con il codice Vassalli in quanto le aspettative di un ricorso massiccio ai procedimenti speciali andarono deluse.

A conclusione ricordo come prtroppo dopo l'entrata in vigore del Codice Vassalli arrivò tangentopoli e contemporaneamente vi furono le stragi del “92 e quegli ideali liberali e democratici in materia di giustizia dovettero scontrarsi con una nuova opinione pubblica che pretendeva più poteri per gli inquirenti e leggi più incisive contro quei loschi affari tra politica e criminalità. Ma è proprio qui il punto debole di ogni riforma all'italiana cioè la mancanza di una visione organica, quindi complessiva, di politica giudiziaria. In questo senso anche la riforma Cartabia altro non è che un compromesso politico subordinato alla perdita dei fondi europei in caso di mancata attuazione che contiene tanto di tecnico ma nulla di sostanza. Non ha nussun senso elargire misure alternative al carcere se non si mette in discussione l'impianto criminogeno ri-formatosi all'interno dello Stato italiano a partire dagli anni novanta ad oggi. Per fare un esempio, nei primi anni novanta vi erano soltanto 25 mila detenuti in tutta italia per reati concernenti gli stupefacenti. Con l'introduzione della Fini-Giovanardi i detenuti per reati legati agli stupefacenti sono diventati circa 70 mila, ed anche i processi. Fatti bagatellari andrebbero semplicemente depenalizzati, altre condotte legalizzate e altre ancora diversamente regolamentate.



Native | 2024-07-16 09:00:00
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