L'erede di Matteo Messina Denaro, un anno dopo
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Chi è l’erede di Matteo Messina Denaro? E’ questa una delle domande più ricorrenti, anche un anno dopo l’arresto del superboss di Castelvetrano.
Messina Denaro, morto il 25 settembre si è portato nella tomba molti segreti della mafia e della stagione delle stragi. E’ stato certamente l’ultimo esponente di quella mafia che ha fatto la guerra allo Stato, e poi ne ha trasformato i connotati facendola tornare alle origini, agli affari, al silenzio.
Cosa nostra dopo l’arresto di Messina Denaro non è finita, e si trasforma. Anzi aveva già iniziato a trasformarsi, lasciando da parte quella “parentesi” corleonese.
E soprattutto a Palermo, nel capoluogo, personaggi legati al passato potrebbero riaffacciarsi nella scena criminale. E’ difficile individuare un vero e proprio erede di Matteo Messina Denaro, a Palermo in particolare, perchè “u siccu” nonostante godesse di una certa reputazione a Palermo era sempre di Castelvetrano, e finita l’era della cupola aveva in mente il suo territorio.
C’è un nome che ricorre spesso, è quello di Giovanni Motisi. La sua storia è particolare, unica nel contesto mafioso, un po’ come quella del capomafia di Castelvetrano. Giovanni Motisi, “u pacchiuni”, per il suo essere in carne, dopo l’arresto di Messina Denaro è diventato il latitante ricercato da più anni. 64 anni, latitante dal 1998. E’ un killer condannato all’ergastolo per l’omicidio del vice questore Ninni Cassarà. Un nome di peso, quindi. Ma sembra che sia uscito del tutto da cosa nostra. Una storia particolare, appunto, perchè come dalla mafia si esce “da morti o da pentiti”. E Motisi morto non è, e pentito neanche.
Motisi era diventato capo mandamento di Pagliarelli. Ma alla fine degli anni ‘90 fu estromesso da tutti gli incarichi dai vertici di cosa nostra. Fu Nino Rotolo in persona a disporre il suo defenestramento. Ma non venne ucciso. Per questo si tratta di un caso praticamente unico nel contesto mafioso. Non si è mai saputo cosa abbia portato i vertici della mafia a buttarlo fuori. Alcuni pentiti raccontavano di una gestione allegra della cassa del mandamento, altri parlano di una “latitanza” prima della latitanza. Non dava risposte, si faceva i fatti suoi, non si faceva vedere. Un po’ come una rinuncia a fare il capo. Motisi avrebbe anche lasciato la moglie, che qualche anno dopo avrebbe chiesto ai vertici mafiosi di potersi rifare una vita. Fatto sta che è lui l’ultimo superlatitante di cosa nostra, un fantasma come lo fu Messina Denaro.
Altri nomi si potrebbero tenere in considerazione nella rosa dei possibili eredi di Messina Denaro, almeno in termini di caratura criminale. Come Michele Micalizzi, 74 anni, sopravvissuto alla guerra di mafia dei primi anni 80. Nel 1982 Totò Riina fece uccidere i suocero Rosario Riccobono, storico capomafia, e il fratello Salvatore Micalizzi. Michele riuscì a salvarsi da un agguato in un bar di palermo. Micalizzi s’è fatto 20 anni di carcere, e una volta uscito ha riattivato i suoi canali del Medioriente per il traffico di droga. Micalizzi è finito di nuovo in carcere la scorsa estate, non prima di essersi infilato in altri business che riguardavano bandi e finanziamenti per l’agricoltura.
Altro nome è quello di Francolino Spadaro, gran conoscitore di cosa nostra. Giovanissimo, Spadaro, accompagnava il padre Masino alle riunioni con Riina e gli altri boss.
Giuseppe Calvaruso, invece, è uno di quei boss che ha seguito l’esempio di Messina Denaro, nel tentativo di fare affari e di mostrare una mafia “buona”. Giovane rampollo della mafia palermitana è invece Gianni Nicchi, legato ai corleonesi, e con contatti anche con le famiglie americane.
In questi anni diverse indagini hanno fatto emergere un ritrovato rapporto con le famiglie oltreoceano. Una sorta di ritorna al passato. A un’epoca in cui la mafia faceva affari, e parlava con i soldi, anzichè con le bombe. E’ questo, forse, il lascito più importante e pericoloso di Matteo Messina Denaro.
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