A volte succede ovvero metti nel conto di dover fare qualcosa ma inventi altro per rimandare, un esempio: riordinare il tavolo di lavoro e sopra c’è di tutto, fotografie, barattoli pieni di matite (ben temperate), di penne, di colori, una polaroid che da anni prometto di riarmare cercando la pellicola e ritrovare lo stupore di quello sviluppo dove dal nulla tutto prendeva forma e colore.
E poi libri sepolti da loro stessi, di recente ho ri-comprato tre Italo Calvino poi impolverati ho ritrovato quelli che pensavo persi, capita.
Il calendario 2023 pieno di segni e a cui mi ero affezionato, e dietro occhieggia quello prossimo, poi sempre sepolto da fogli e pizzini vari Candido di Sciascia (dimenticato da mesi dopo chissà quale rilettura).
Un sogno in Sicilia per rimandare un inutile riordino e torno a godere delle prime pagine di questo libro illuminante, la verità forse è che nella confusione totale spesso si riesce a trovare un filo un inizio di un qualcosa per poi ripartire.
Alla fine sognare a occhi aperti o camminare restituisce una dimensione di desiderata, percorsi sghembi con l’ostinazione di vivere una anomalia culturale a Alasram in Sicilia, terra forse amata da Ionesco e dal suo Teatro_ visione aperte, Pirandello non ci basta.
Recuperare la dimensione spazio-tempo far andare quei passi che ti pongono nella condizione dell’osservazione attenta e di darsi del Tu con le cose, dell’esprimersi al condizionale (lo detesto con tutto me stesso) e su questo tempo verbale adagiarsi al ricordo ormai sgretolato delle bellissime cornucopie nelle colonne di una chiesa barocca. Immaginare contenitori culturali autonomi con progettazioni triennali, fabbriche di lavoro dove la cultura diventa aggregazione sociale e volano di lavoro indotto, dove il centro va in periferia e dove la periferia non fa la retorica di se stessa (sulla materia ampia letteratura, Senatore a vita Architetto Renzo Piano in testa sul lavoro di ricucitura).
Una citazione è d’obbligo “'Il coraggio intellettuale a dire la verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia” Pier Paolo Pasolini Corriere della Sera, 14 novembre 1974: mezzo secolo da allora e quanta attualità.
Oggi è concesso parlare alla politica apertamente e dire che così non va? Si parla di classe dirigente politica, ma forse all’adagio quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito, si omette di dire chi elegge la classe politica e forse azzerare qualunque ragionamento sul tema sarebbe più utile che rilanciare la palla dall’altra parte.
Confrontarsi con lealtà e ammettere che la somma algebrica di spazi culturali non fa della nostra Comunità un plus in Sicilia, eppure avremmo delle chicche (maledetto me, ho usato il condizionale…) che sono vestiti su misura per ogni forma di espressione: vestiti di tutte le taglie con recuperi architettonici superbi e lasciati lì a morire di solitudine e se la curiosità è dalla vostra parte, scarpe comode e cercateli.
Lavoriamo insieme sul dimenticato, sul dare senso e forma originale e responsabile a tanto che abbiamo: che la politica liberi se stessa e responsabilizzi con la costruzione di identità autentiche di gestione, con il coinvolgimento della Comunità e di leggi che agevolano questa osmosi che è nelle cose ricchezza in potenza. E’ un lavoro necessario lungo e indifferibile e mettere la polvere sotto il tappeto non credo serva a nessuno, delittuoso rimandare.
O forse il peccato originale che nasce dalla non costituzione della Fondazione per gestire il Festival Jazz (sono trascorsi quasi trent’anni), lo dobbiamo scontare ancora come tara? Per generazioni intere quel Festival è stata la scusa per rimpiangere un tempo dorato, salvo poi evitare di proporre altre soluzioni: fare, progettare implica fatica impegno delusioni e allora meglio il rimpianto, costa meno e senza responsabilità apparenti.
Sognare il Teatro come palestra aperta ad ogni ora per prove, per i tanti che amano il palcoscenico, consumare parte della collezione permanente della Città per raccontare la storia dell’arte fuori da quelle mura in parte chiuse, lo faceva Adriano Olivetti che portava i suoi quadri nelle fabbriche ai suoi operai - e non era carità pelosa… Avere un Parco Archeologico in Città e una direttrice pronta a sfondare quell’indecente recinzione ( e mi scuso per la recinzione) per accogliere, raccontare e ascoltare.
Di recente in Puglia hanno raggiunto un accordo con alcune biblioteche di pubblica lettura - per aprirle ad esigenze diverse, andando oltre l’orario del pubblico impiego ovvero rimodulando tempi e spazi. A Roma è notizia di questi giorni, apriranno sale studio dentro i Musei: che sia l’inizio di un nuovo corso? Forse accogliere istanze urgenti da parte di un pubblico giovane sia già in sé formazione costante e continua per una classe dirigente in erba? Da indomito ottimista non mi arrendo a vedere luoghi chiusi, o peggio segnati dall’incuria del tempo: noi classe dirigente abbiamo una responsabilità enorme, quella di non abituarci al poco e proporre sempre con soluzioni da concordare, la politica da par suo ha l’obbligo di provarci e dare visioni e prospettive in tempi non semplici. La Sicilia perde ogni anno migliaia di nuove generazioni e mi sembra che abbiamo allevato sommi esegeti che ci raccontano come leggere queste statistiche e percentuali di spopolamento: ma non era forse il caso di provarci prima anziché fornire questi figli di biglietti di sola andata, con lacrimevoli lettere poi? E’ materia enorme complessa, credo con convinzione alla politica locale, alle istanze dal basso e che il lavoro alla lunga dia risultati. Che sia l’anno delle Utopie in una città invisibile_ omaggio a Italo Calvino e alla sua leggerezza densa, dell’alzo zero e poi aggiustare il tiro, che sia il tempo di guardarsi attorno ed essere stanchi, troppo stanchi di vivere in un deserto con tramonti bellissimi
Giuseppe Prode