Qualcosa si è rotto. E adesso questo benedetto Ponte sullo Stretto di Messina, più che unire, sembra dividere come non mai. Qualcosa si è rotto, sì, e mai come in questo momento l’opera pubblica più annunciata del secolo (la società che deve realizzarlo è stata creata mezzo secolo fa) rischia di diventare una sorta di muraglia con Matteo Salvini e Renato Schifani, ministro dei Trasporti e presidente della Regione siciliana, su due sponde molto lontane.
E pensare che fino a poche settimane fa i due erano una coppia fissa che, in nome delle ragioni del Ponte, si sosteneva a vicenda, con tanto di foto ufficiale con il plastico che Salvini tiene come un altare nella sua stanza e fa vedere a tutti, pure a Elon Musk. Poi, dicevamo, è successo qualcosa. Mettiamo in fila i fatti.
La Regione qualche settimana fa si era impegnata a contribuire alla realizzazione del Ponte, dichiarando di voler trovare risorse per finanziare il dieci per cento dell’opera. Attenzione, nessun atto ufficiale, sono una dichiarazione di Schifani al termine di una riunione di Giunta. Anche perché, tecnicamente, la Regione non può ufficialmente deliberare nulla, su un’opera così impegnativa.
Su quindici miliardi previsti, sono 1,5 miliardi di euro. Tanti soldi, per una Regione sempre in rosso e per un governo con il fiato sul collo della Corte dei Conti. Inoltre, la promessa di un futuro impegno finanziario ha suscitato tante polemiche, data l’arretratezza della rete infrastrutturale siciliana, che avrebbe consigliato altre priorità.
E poi c’è un aspetto tecnico: molte opere sono già finanziate e hanno il progetto pronto, alcune dopo un’attesa decennale: rinviare sine die per il Ponte significa non realizzarle più. Fatto sta che il 6 dicembre, a sorpresa, Schifani torna sui suoi passi. La Regione non partecipa più all’impresa, o meglio, lo farà, ma con altre risorse da trovare (un modo elegante per tirarsi fuori dall’impiccio) perché si vuole dare priorità alle opere già programmate e prioritarie, come ad esempio il completamento della rete autostradale dell’isola, il potenziamento della rete ferroviaria e altro.
Passa qualche giorno e arriva la vendetta di Salvini. È contenuta nel quarto emendamento del governo alla manovra finanziaria in discussione in Parlamento. Vengono messe per iscritto le coperture finanziarie del Ponte. E, nella ricerca disperata di risorse per non aumentare il deficit, si stabilisce che verranno utilizzati 1,6 miliardi, prelevati dal Fondi di Sviluppo e Coesione per la Sicilia e la Calabria: 1,3 miliardi per la Sicilia, trecento milioni di euro per la Calabria.
In pratica, se la Sicilia non vuole mettere i soldi, le verranno comunque sottratti i finanziamenti comunitari previsti dai Fondi Strutturali Europei. Verranno così in gran parte tagliate le risorse previste per le reti fognarie, per le infrastrutture ferroviarie locali, per il contrasto al dissesto idrogeologico, il potenziamento dei servizi sociali nelle aree interne in via di spopolamento. Il tutto è accompagnato dalle parole provocatorie di Salvini: «Un piccolo contributo richiesto a Sicilia e Calabria. Che ci mettano una piccola fiches è normale».
Mica male, come ripicca. Altro che piccola fiches. La mossa lascia esterrefatto anche uno come Schifani, che in vita sua ne ha viste tante. Si affida a una nota glaciale, che è una dichiarazione di guerra: «La decisione governativa per cui la quota di nostra compartecipazione debba essere di 1,3 miliardi non è stata mai condivisa». E poi, il contrattacco, stizzito: «L’auspicio della Presidenza della Regione è che il Ministro Salvini si possa attivare per restituire le maggiori risorse sottratte alla Sicilia, necessarie per sostenere importanti investimenti per lo sviluppo dell’Isola».
È chiaro che qui è un po’ come la storia del dito e della luna. Il dito è il Ponte. Ma il vero obiettivo è la luna, cioè, ancora una volta le elezioni europee e lo scontro che si va consumando a livello nazionale tra Forza Italia e Lega. Salvini sul ponte si gioca tutto, ma non vuole restare con il cerino in mano se le cose dovessero andar male. Idem Schifani. Il gioco è buttare la palla dall’altra parte del campo, in modo da poter additare, un giorno, i responsabili. Schifani e il suo collega, il governatore della Calabria Roberto Occhiuto, sono in corsa per il ruolo di vice Tajani alla guida di Forza Italia. Metterli contro, quindi, significa per Salvini seminare un po’ di zizzania in un partito che dopo la morte di Berlusconi si è riorganizzato e rischia di prendere più voti della Lega alle europee, grazie proprio all’apporto delle uniche due roccaforti rimaste, Sicilia e Calabria. Tant’è che Salvini aggiunge: «Occhiuto è d’accordo con me», giusto per mettere ancora sale.
Ecco la partita politica che si gioca sul Ponte sullo Stretto. È storia antica: ognuno vuole fare vedere all’altro chi comanda, e che il Ponte si farà, ma come dice lui. Lo sa bene anche Occhiuto, che cerca di ridimensionare il ruolo di Schifani e passare per quello responsabile: «I calabresi devono stare sicuri che alla Calabria non sarà tolto un euro. Ai trecento milioni che devolveremo per il Ponte arriveranno tanti altri miliardi che serviranno per finanziare altre infrastrutture come la statale 106 e l’alta velocità. Il Ponte sarà l’opera bandiera per Forza Italia: se Calabria e Sicilia lo cofinanzieranno per il dieci per cento non mi sembra una cosa folle. La Calabria troverà altri benefici per aver contribuito alla sua realizzazione».
Gli effetti della mossa di Salvini agitano la politica siciliana, che invece su un altro dossier ben più grave per l’isola, l’autonomia differenziata, è stata sonnacchiosa. Dall’opposizione parlano di «rapina», e chiedono le dimissioni di Schifani. Cateno De Luca ci vede anche dietro un altro ricatto: «Salvini vuole dalla Sicilia i soldi per il Ponte, se no farà saltare l’aumento della compartecipazione alla spesa sanitaria».
Da Forza Italia in Sicilia fanno quadrato su Schifani: «È inammissibile che venga posto a carico della Sicilia una ulteriore parte della somma – tuona il partito regionale in una nota –. Si dovrebbe pensare, per principio costituzionale, a eliminare gli svantaggi derivanti dalla condizione di insularità e invece si agisce al contrario». Salvini da parte suo fa sapere che «il dossier Ponte prosegue come da programma, c’è la totale copertura economica e la giusta partecipazione finanziaria delle Regioni: l’obiettivo è rispettare i tempi, iniziando i lavori nel 2024».
I nodi prima o poi, su chi pagherà cosa, verranno al pettine. Tutto passerà dal ministro Raffaele Fitto. E’ al suo tavolo, infatti, che si firmerà l’accordo su come verrà utilizzato il Fondo di Sviluppo e Coesione di Sicilia e Calabria. Una partita che per l’isola vale tra i 6,5 e i sette miliardi di euro.
Che sia una questione di principio, lo si evince proprio dalle cifre. Perché la Sicilia si era impegnata proprio per la stessa somma che ora il governo le vuole “scippare”. Ma è la forma che è importante, il “comandare in casa d’altri” che ai politici della Regione a statuto speciale che più speciale non si può non è mai andato a genio. Tant’è che lo stesso Schifani agita possibili contromosse. Si comincia con un classico: la minaccia di dimissioni. Poi c’è un un missile terra-aria: il conflitto istituzionale, da demandare alla Corte Costituzionale. Infine la bomba atomica: il ritiro ufficiale della Regione Siciliana da ogni tipo di compartecipazione nell’opera e la guerra aperta contro il governo romano che scippa soldi alla Sicilia per un’opera che non si farà mai (il fatalismo, ricordiamolo, è la specialità di casa).
Nei prossimi giorni sono previste novità. Ma Fratelli d’Italia approfitta dell’occasione per mettere in riga Schifani e la classe politica siciliana. Lo fa con Donzelli, che dà le indicazioni e fa la morale: «Il Ponte si farà con i soldi che ci sono, della Sicilia, della Calabria e dell’Italia intera per sviluppare il Mezzogiorno e la nostra economia. Troppe volte abbiamo visto una politica assistenzialista per il Sud d’Italia».
Resta poi il mistero. Ma come è finito questo grande amore tra Salvini e Schifani? Possibile che tutti i messaggi e i complimenti reciproci siano affondati, come un castello di sabbia in riva al mare? C’è chi dice che è tutto opera del nuovo amico siciliano di Salvini, l’ex presidente Raffaele Lombardo, che con il suo Movimento per l’Autonomia ha sancito un’alleanza con Salvini che significa, alle europee, seggio sicuro in Sicilia. C’è chi mette in mezzo tutto: l’emergenza rifiuti e l’attesa, in Sicilia, per l’ok da Roma per i due termovalorizzatori da realizzare, con tanto di nomina del commissario. O il nuovo accordo per la rete ospedaliera. Ma in realtà è solo politica. E da qui a giugno, quando si voterà per le europee, le fibrillazioni non faranno che aumentare, perché il gioco è sempre quello, fare a chi ce l’ha più lungo e bello, il Ponte.