Continua ad essere alta l'attenzione attorno all'inchiesta della Procura di Caltanissetta riguardo all'agenda rossa di Paolo Borsellino. Le indagini condotte dalla Procura di Caltanissetta nel settembre scorso, sono approdate ad una perquisizione delle case dei familiari di Arnaldo La Barbera, ex capo della squadra mobile di Palermo.
La moglie e una delle figlie dell'ex questore, funzionaria della presidenza del consiglio, sono indagate. Le autorità sospettano che possano aver avuto accesso per anni all'agenda, ipoteticamente ottenuta illegalmente da La Barbera. Intanto ci sono cinque "super" testimoni, cinque poliziotti, he la Procura ha chiesto di acquisire.
Nella disponibilità di una funzionaria della presidenza del consiglio? - L’agenda rossa di Borsellino, introvabile dal 19 luglio 1992 (il giorno della strage), sarebbe stata per anni nella disponibilità della moglie e di una delle figlie di Arnaldo La Barbera. E’ quanto ipotizzato dalla Procura di Caltanissetta, che ha messo sotto indagine la moglie del capo della squadra mobile morto nel 2002, Angiola e la figlia Serena La Barbera, per il reato di ricettazione aggravata dal favoreggiamento alla mafia. Quest’ultima sarebbe anche funzionaria della presidenza del consiglio che si occupa di sicurezza nazionale e le perquisizioni si sarebbero estese alla sede dell'Aisi, i servizi segreti interni, dove la figlia indagata di La Barbera lavora.
Inizio delle indagini - L’indagine sarebbe originata dalle dichiarazioni di un amico di famiglia dei La Barbera, che ai pm nisseni avrebbe raccontato di questa misteriosa custodia. Nel 2018, una terza persona gli avrebbe proposto di tenerla lui, dal momento che la famiglia voleva sistemarla da un’altra parte. Proposta che il testimone, le cui generalità sono tenute segrete, avrebbe rifiutato.
Cinque testimoni - Ci sono cinque testimoni, tutti poliziotti, che hanno descritto con precisione gli spostamenti della valigetta di pelle di Borsellino dopo la tragica strage. Questa borsa contenente l'agenda rossa del giudice, essenziale per le indagini, scomparve misteriosamente poco dopo la sua morte. Le informazioni fornite dai testimoni sono considerate fondamentali dalla Procura generale di Caltanissetta, che ha richiesto l'acquisizione dei loro verbali nell'ambito del processo di secondo grado sul presunto depistaggio delle prime indagini sulla Strage di Via d'Amelio. La procura generale ha chiesto di acquisire le sommarie informazioni testimoniali dei cinque poliziotti che furono sentiti tra il 2006 e il 2019, ma alcuni di loro anche nei giorni scorsi, “sul rinvenimento della borsa del giudice Borsellino nella stanza di La Barbera” dopo la strage. Si tratta dei poliziotti Andrea Grassi, Armando Infantino, Giuseppe Lo Presti, Nicolò Giuseppe Manzella e Gabriella Tomasello. “Ove non sia prestato il consenso all’acquisizione delle sit da parte delle difese, chiederemo l’esame dei 5 poliziotti”, ha detto il pg Maurizio Bonaccorso.
Nel processo in questione, gli imputati sono i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo, ex membri del gruppo d'indagine Falcone-Borsellino guidato da Arnaldo La Barbera. Sono accusati di concorso in calunnia, con l'aggravante di aver favorito Cosa Nostra, inducendo testimoni fasulli a dichiarare il falso sulla strage. Nel primo grado del processo, la caduta dell'aggravante mafiosa ha portato alla prescrizione per Bo e Mattei, mentre Ribaudo è stato assolto perché il fatto non è stato ritenuto reato.
Luigi Patronaggio, ex sostituto a Palermo con Falcone e Borsellino - «Io non so quale sia stato il movente della strage di via D’Amelio, ovvero, se vi siamo stati più moventi convergenti. Di sicuro Borsellino era un fiero e pericoloso nemico di Cosa Nostra e le sue qualità investigative, così come le informazioni in suo possesso, erano ben note ai mafiosi. Non può a priori escludersi che le sue intuizioni investigative potessero danneggiare quella parte dell’imprenditoria e della finanza nazionale collusa con la mafia». Lo ha detto all’Adnkronos, il procuratore generale di Cagliari, Luigi Patronaggio, che è stato sentito dalla Commissione nazionale antimafia.
«Gli acclarati depistaggi sulla strage di via D’Amelio aprono peraltro irrisolti ed altrettanto gravi interrogativi: innanzi tutto a vantaggio di chi siano stati operati tali depistaggi. Resta un mistero inquietante per la vita democratica di questo Paese stabilire per chi e per quali motivi abbiano agito uomini “anfibi” come il prefetto La Barbera (metà poliziotto e metà agente segreto) e gli ignoti responsabili della sparizione della agenda rossa», aggiunge Patronaggio.
Ecco cosa dice Patronaggio sull’agenda rossa: «Su che fine abbia fatto con tutta onestà non lo so. Confermo invece che l’ufficio di Borsellino fu sigillato nella immediatezza della strage e che i colleghi di Caltanissetta procedettero ad un inventario. Se fra quelle carte vi fosse proprio l’agenda rossa tuttavia lo ignoro». E aggiunge: «Qualsiasi iniziativa volta a restituire la verità a questo Paese è auspicabile, anzi doverosa, l’importante è che questa ricerca avvenga con spirito laico, critico, senza pregiudizi politici o ideologici».«In ordine ai rapporti fra il gruppo Gardini/Ferruzzi e Cosa Nostra, è noto, almeno dal 1997, il legame fra Lorenzo Panzavolta e Buscemi Antonino della famiglia mafiosa di Palermo-Bocca di Falco. Mi risulta altresì che una pista investigativa, risalente nel tempo e tuttavia mai riscontrata giudiziariamente, indicava come una parte della maxi tangente Enimont fosse affluita alla corrente andreottiana tramite Salvo Lima», dice poi Patronaggio. E conclude: «Pur non essendomene occupato personalmente è infine noto, almeno a livello investigativo, l’interesse economico dei Buscemi nel settore delle cave in Sicilia e a Massa Carrara, alcune di queste ultime già appartenenti al gruppo Ferruzzi».