Per il caro Nino, così Ferdinando Scianna dedica un suo ritratto fotografico. Un’idea coltivata da tempo che per vari motivi non prendeva mai forma, ma con la promessa reciproca che prima o poi qualcosa sarebbe accaduto.
E quel poi da idea è diventata concretezza dopo una estate a soffrire un caldo asfissiante e dove il lavoro e la lettura a volte aiutano a sopportare ogni cosa.
Così Giovanna ha filtrato con amore le tante telefonate al compagno di una vita, pensieri e parole - spesso sghembi - ma siamo riusciti a realizzare un qualcosa che sarà Nino De Vita a teatro.
Ho ripreso senza un ordine preciso i suoi testi, che fossero raccolte di poesia, racconti per ragazzi, ricordi spargoli di un pomeriggio a casa sua (io perso tra le fotografie di suoi amici di una vita); di una granita con la luce morbida di Cutusio.
Rileggere pagine dopo anni di Italo Calvino - ricorre il centenario dalla nascita - Lezioni americane (apprezzare sempre più come alcuni intellettuali siano sempre attuali), e del capitolo Esattezza riporto queste righe
3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.
Perché sento il bisogno di difendere dei valori che a molti potranno sembrare ovvi? Credo che la mia prima spinta venga da una mia ipersensibilità o allergia: mi sembra che il linguaggio venga usato in modo approssimativo, casual, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto. La letteratura - dico la letteratura che risponde a queste esigenze - è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere.
Con il grandangolo della sua prosa della sua lingua, Nino ci regala l’esattezza della lingua, questo lavoro di bulino sulla pagina di Cutusio e nella traduzione italiana che lui stesso cura, ci dona una quiete dell’anima.
Tempi dove l’uomo si spinge su praterie sterminate come l’intelligenza artificiale, ma una parola una virgola una sospensione sono immagini letterarie che ancora un algoritmo non può emulare.
Nino De Vita a Teatro è rendere omaggio ad una delle voci più alte nella letteratura contemporanea italiana: sul palco con lui Massimo Onofri, Paola Silvia Dolci, Marco Marino e qualche sorpresa - perché non c’è festa che non si rispetti senza averne una - .
Mentre scrivo, leggo un post della mia amica Paola Caridi “Abbiamo perso contatto con 2.2 milioni di persone. Noi, il mondo, l’umanità. Gaza”.
Non viviamo dentro una bolla, siamo parte di questo contemporaneo stretti tra due guerre, e a volte fatichi a trovare il senso dello scrivere di rendere giusto omaggio ad un uomo di lettere provi quasi un senso di inutilità.
Ma non è così: siamo donne e uomini e con i nostri mezzi proviamo ad andare oltre questa epidemia pestilenziale di parole e immagini.
Non è poca cosa ci proviamo, una Comunità si stringe e si fa coesa anche così (spero), magari scoprendo il segno delicato su una tavola di Simone Massi illustratore profondo, o tra le pagine dei tanti libri pubblicati.
Abbiamo necessità di leggerezza, quella calviniana che sottrae peso alla struttura e al linguaggio e riporta le parole all’essenziale.
Questo si ritrova con Nino De Vita (foto © ferdinando scianna/magnum photos) da Cutusio, letteratura aderente ad un tempo faticoso, e per noi un dono averlo così vicino.
Giuseppe Prode