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22/10/2023 06:00:00

La concezione della politica tra l’Italia, Marsala e l’Atene classica

I cittadini del XXI secolo sono all’interno di un periodo storico contornato dalla "sindrome della depoliticizzazione": la colpa ricade esclusivamente sulla negligenza del cittadino? Decisamente no.

L’affluenza delle elezioni parlamentari o comunali, sia in tutta Italia sia a Marsala (quelle del 2022 rispettivamente al 64% e al 52% degli aventi diritto di voto), è in fase calante rispetto anche al passato recente e la persona, che ritrova un interesse (spesso abbastanza scarso) durante le elezioni già citate, perde il vero significato di fare politica. Non tutti, infatti, sanno che la politica non nasce come un tragitto che ha il suo traguardo in una giornata di elezioni, ma come processo partecipativo che ha come obiettivo la “concordia” dell’apparato cittadino.

E per avere le idee più chiare su ciò, bisogna dare uno sguardo alla civiltà che ha dato i natali alla politica così come alla forma di governo democratica: la civiltà greca, in particolar modo quella ateniese del VI-IV secolo a.C. L’organo istituzionale emblematico era l’"ekklesia", l’assemblea popolare composta dalla totalità degli ateniesi aventi diritto con poteri legislativi, giudiziari e sulle relazioni estere, che passava da un leggero vaglio approvato da 500 ateniesi scelti a sorteggio: sembra per noi folle considerare la possibilità che chiunque voglia possa presentare una proposta di legge o avere voce in capitolo riguardo l’entrata in guerra del proprio paese; da sottolineare anche il fatto che i giudici, che non erano dei professionisti in materia, venivano scelti annualmente a sorte (e non tramite elezioni “meritocratiche”) ed erano di numero 6000, cioè circa il 5-10% di tutta la cittadinanza ateniese! Quindi, essendo così presenti durante le attività politiche della città, i cittadini sentivano un forte obbligo morale nel doversi presentare nei momenti che riguardavano pienamente Atene e, soprattutto, percepivano se stessi come indispensabili all’interno della comunità: “l’uomo è un animale politico” è una nota frase del filosofo Aristotele che racchiude tutte queste idee che ho citato.

Circa 2500 anni dopo, però, l’italiano non è più un animale politico: la vita del cittadino comune prosegue normalmente anche senza la propria politicità, escludendo quest’ultima dalla propria vita sociale ed esternalizzandola. Un fattore determinante di questa scissione è sicuramente l’unione che la società contemporanea fa tra economia e politica, rendendo la prima matrice della seconda: l’economia, ed il sistema capitalistico in generale, permeano in profondità nella politica parlamentare (basta guardare una singola commissione del Senato o della Camera) e, soprattutto, nella nostra routine, essendo noi obbligati a preferire il cercare di ottenere profitto o il dover guadagnare abbastanza per sostenere una vita dignitosa rispetto che il sentirci parte della società. Perchè, se ancora non si fosse capito, il termine politica nasce come il rappresentare quel qualcosa che appartiene alla polis, cioè alla città: la vera politica non è l’elezione del parlamento, ma tutto ciò che viene prima, durante e dopo di esso.

Un altro fattore da considerare è il sistema di governo che attualmente vige in Italia: la democrazia rappresentativa, che differisce enormemente dalla democrazia ateniese, chiamata anche democrazia radicale. Ad Atene, come abbiamo già visto, il popolo non era chiamato a votare qualcuno che lo rappresentasse, ma esso stesso scendeva in piazza per poter essere parte attiva dell’apparato amministrativo. Invece, la nostra democrazia rappresentativa permette a me, cittadino qualunque, di votare un partito che mi rappresenti, all’interno del quale soltanto un numero ristretto entrerà in Parlamento, e quindi potrà incidere sulle sorti del paese: inutile dire quanto questa logorante suddivisione incida sull’interesso politico del cittadino medio.

L’ultimo fattore che citerò è come si è svenduta la politica dai piani alti: essere un politico, almeno negli ultimi decenni, vuol dire bramare e possedere il potere: il cercare di migliorare la società viene sicuramente in secondo piano. La figura del politico è diventata ridicola agli occhi del cittadino: il candidato è colui che ascolta in periodo elettorale i malumori sociali e poi, quando viene eletto, si trastulla con il lauto stipendio che ha ottenuto. Ovviamente lo sguardo sociale spesso non corrisponde a realtà, ma sicuramente l’avvento di certi personaggi politici discutibili, che non citerò, ha influito pesantemente.

E allora, c’è una soluzione a tutto questo? Il singolo può ritornare ad essere parte integrante della vita politica che lo circonda e lo sovrasta?

Forse. Sicuramente è ridicolo e utopistico pensare di poter tornare ad una politicità tipica dell’Atene classica: basti pensare che la popolazione dell’Italia è circa 1000 volte superiore rispetto a quella ateniese, con tutta la burocrazia e le difficoltà amministrative che ciò comporta. Non dimentichiamo, però, l’importanza dell’inattualità: grazie ad un nostro sguardo verso l’Atene classica possiamo avere consapevolezza di come, in cuor nostro, potremmo essere, rendendo noi stessi più partecipi riguardo ciò che ci circonda, sia attraverso il recupero di informazioni, sia essendo più coscienti di ciò che succede, che, soprattutto, tramite il recupero della nostra identità sociale.
La chiave finale, però, è il non chiudersi a riccio nella propria gabbia dorata: bisogna uscire di casa, alzare la voce e far comprendere ai cittadini cosa potrebbero essere in grado di fare.

Luca Lo Buglio
 

 



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