Il naufragio del 3 ottobre 2013 a Lampedusa a circa mezzo miglio dall'Isola dei Conigli che ha provocato 368 morti accertati e circa 20 dispersi, 155 sopravvissuti di cui 41 minori delle 503 persone a bordo dell'imbarcazione partita da Misurata (Libia) sono state vane.
Quelle morti non hanno insegnato molto, visto che a dieci anni di distanza siamo qui a narrare quasi quotidianamente di nuovi naufragi e di nuovi morti nel mare Mediterraneo e di soluzioni che l’Italia e l’Europa continuano a non voler trovare, divise su tutto: numeri, politiche di immigrazione, di accoglienza, quote o modalità di permanenza e divise da modalità che variano con il cambiare dei governi.
Che la gestione degli sbarchi e degli immigrati che arrivano sulle nostre coste sia anche un fatto di approccio ideologico al problema, è un dato di fatto, e a seconda dei governanti che si alternano, si verifica anche lo scontro tra i poteri dello Stato, esecutivo, legislativo e giudiziario che si trovano ad affrontare la materia. E’ successo in passato con Matteo Salvini quando era ministro degli Interni con il governo Conte e succede oggi, con la stessa premier Meloni che reagisce alla decisione del giudice di Catania di lasciare liberi cinque migranti.
Giorgia Meloni ha scritto un post su Facebook contro la giudice Iolanda Apostolico, “colpevole” di avere liberato quattro migranti tunisini dal Centro di trattenimento di Pozzallo. «Sono rimasta basita di fronte alla sentenza del giudice di Catania», esordisce Meloni. E già si ipotizza un’ispezione ministeriale. La premier non solo critica il provvedimento ma dà un giudizio politico sulla giudice che «rimette in libertà un immigrato illegale, già destinatario di un provvedimento di espulsione, dichiarando unilateralmente la Tunisia Paese non sicuro (compito che non spetta alla magistratura afferma) e scagliandosi contro i provvedimenti di un governo democraticamente eletto». Poi dive di essere estremamente preoccupata per l’ondata di sbarchi che stanno mettendo in cattiva luce l’esecutivo: «Siamo di fronte a una pressione migratoria senza precedenti, dovuta all’instabilità di vaste aree dell’Africa e del Medio Oriente. Il governo italiano lavora ogni giorno per fronteggiare questa situazione e contrastare l’immigrazione illegale di massa». Ma è letteralmente scatenata contro chi la ostacola. Contro la Germania, ad esempio: «Tutto diventa molto più difficile se nel frattempo altri Stati lavorano nella direzione diametralmente opposta». E si scaglia, per finire, contro i magistrati: «Perfino un pezzo di Italia fa tutto il possibile per favorire l’immigrazione illegale. E non parlo solo della sinistra ideologizzata e del circuito che ha i propri ricchi interessi nell’accoglienza».
Intanto sul fronte internazionale c'è la dura presa di posizione del presidente tunisino Saied che rifiuta i fondi offerti dall’Unione europea: «La Tunisia accetta la cooperazione, ma non la carità né l’elemosina. Il nostro Paese e la nostra gente non vogliono pietà, ma esigono rispetto. La proposta di Bruxelles contraddice il memorandum d’intesa firmato a Tunisi nello spirito che ha prevalso alla conferenza di Roma dello scorso luglio».
I migranti liberati a Pozzallo - Hanno conosciuto le atrocità dei respingimenti da parte della guardia costiera tunisina, fuggono in cerca di un luogo dove migliorare la propria condizione di vita. Amin, Ahfed, Alì, Aymen e Saber sono cinque dei sette richiedenti asilo tornati in libertà dopo che la giudice del tribunale di Catania Iolanda Apostolico non ha convalidato il decreto di trattenimento previsto dal decreto Cutro. È tardo pomeriggio davanti ai cancelli del centro di rimpatrio veloce voluto dal governo tra Pozzallo e Modica e inaugurato appena la scorsa settimana. Container, prefabbricati e gabbie, ma all’interno non ci sono soltanto i richiedenti asilo che secondo il “decreto Cutro” sarebbero dovuti essere trattenuti. Ci sono anche famiglie, bambini molti piccoli, loro liberi di uscire nel nulla delle campagne del Ragusano. Davanti ai cancelli del centro c’è l’avvocata esperta di immigrazione Rosa Emanuela Lo Faro, con un faldone di documenti in cui sono racchiusi i provvedimenti di questura e tribunale, e le storie di ognuno dei ragazzi. Per loro arriva il momento tanto atteso: con i borsoni pieni di indumenti lasciano il centro, salutano i poliziotti e li ringraziano per averli trattati «con dignità» per tutto il periodo della permanenza, durata oltre 10 giorni.
La replica della giudice Iolanda Apostolico - «Non voglio - replica asciutta - entrare nella polemica, né nel merito della vicenda. Il mio provvedimento è impugnabile con ricorso per Cassazione, non devo stare a difenderlo. Non rientra nei miei compiti. E poi non si deve trasformare una questione giuridica in una vicenda personale».
Possibile ricorso in Cassazione - E il ricorso in Cassazione ci sarà sicuramente, come ha ribadito ieri il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, consapevole che di questo passo l’intera strategia del governo rischia di naufragare nelle aule di giustizia. Ma non basta. Il governo sta pensando a come reagire. Al ministero della Giustizia si ipotizza un’ispezione al Tribunale di Catania. Serve però un appiglio giuridico: il difetto di motivazione potrebbe annidarsi nel riferimento della giudice alla decisione lacunosa del questore di trattenere nel Centro di Pozzallo i migranti tunisini. Se si riuscisse a dimostrare che ha agito correttamente, allora si potrebbero trovare gli estremi per mandare gli ispettori. Meloni è particolarmente seccata. Con i suoi collaboratori ha sottolineato che la gravità della vicenda è dimostrata dal fatto che la giudice abbia preferito scrivere una sentenza che smonta un decreto, piuttosto che rinviare la questione alla Corte costituzionale. Ciò nonostante, o forse proprio per questo, la premier non ha nessuna intenzione di tornare sui propri passi nella legislazione antimigranti: «Il decreto Cutro non si tocca».