C’è una domanda che da ieri campeggia su tutti i giornali, i siti, le tv. Morto Matteo Messina Denaro, cosa succede a cosa nostra, alla mafia, c’è un nuovo capo?
E possono essere tante le risposte, tutte contenute nelle tantissime reazioni alla morte del boss di Castelvetrano.
Ma tra le tante una delle più lucide analisi è certamente quella di Attilio Bolzoni, giornalista, con 40 anni di esperienza nel racconto e nello studio della mafia, sul Domani.
“Adesso che non c'è più, ora che è caduto per sempre quell'alibi che è stato a lungo Matteo Messina Denaro, finalmente qualcuno - si spera - comincerà a indagare su chi è il padrone della mafia di Trapani e forse della Sicilia intera. Tempo dietro a lui ne hanno perso tanto per prenderlo (e anche soldi, moltissimi soldi per finanziare missioni infinite a schiere di investigatori a caccia perenne del latitante) ma di sicuro hanno perso tempo - sempre a causa sua - nell'aggiornare le mappe criminali e scoprire chi comanda veramente in quella che è la provincia più misteriosa dell'isola” scrive Bolzoni.
Tanto tempo hanno impiegato sulle sue tracce le forze dell’ordine in questi anni. L’ultimo sforzo l’hanno compiuto i Ros, che il 16 gennaio hanno arrestato Messina Denaro mentre si recava alla clinica La Maddalena per sottoporsi alle cure contro il cancro che lo ha stroncato.
In questi mesi è stata una caccia continua ai fiancheggiatori del boss, a chi ha permesso la sua latitanza, quanto meno quelli che Bolzoni definisce favoreggiatori “orizzontali”. Perchè resta sempre senza risposta la domanda su quali fossero le coperture ad alto livello.
«Cosa Nostra è viva e ancora forte, ma ha avvertito il colpo indubbiamente, sia riguardo alla provincia trapanese, della quale Messina Denaro era a capo, sia attraverso la altre province mafiose che guardavano a questa figura come un simbolo. Verranno avviati rapporti dialettici all'interno dell'organizzazione, nella provincia trapanese e nelle altre province, perché comunque andrà individuato un nuovo capo dell'organizzazione. Il lavoro va avanti per individuare compiutamente la rete di favoreggiamento e le ricchezze, ovvero i settori dell'economia che erano controllati da imprenditori vicini all'organizzazione». Così il comandante del Ros, Pasquale Angelosanto, in merito alla morte del boss Matteo Messina Denaro. «Un mafioso irriducibile come Matteo Messina Denaro può dire qualsiasi cosa - ha aggiunto Angelosanto - . Dopo l'arresto ha sostenuto di non essere mafioso, di non essere mai stato nell'organizzazione e che ha mantenuto rapporti con Provenzano solo perché entrambi latitanti e quindi per solidarietà con lui».
Matteo Messina Denaro, 30 anni di latitanza, molti dei quali passati nel suo territorio, tra Castelvetrano e Campobello di Mazara.
“Imprenditori seri ed investimenti puliti sono stati tenuti lontani dal territorio, a causa di un uomo che ha fatto tanto male alla sua terra”, dice il sindaco di Castelvetrano, Enzo Alfano.
Per il sindaco di Campobello di Mazara, cittadina in cui si è nascosto negli ultimi anni, la morte di Matteo Messina Denaro «è la fine di un percorso di vita terrena che tutti si aspettavano da un giorno all’altra. Ma è, soprattutto, un senso di definitiva liberazione di questa parte di Sicilia, che purtroppo ha pagato un prezzo altissimo. Speriamo che si possa voltare pagina». «È stata una cappa che ha messo in ginocchio l’economia, il popolo - dice Giuseppe Castiglione -. Ora che il giorno è arrivato -speriamo non ci siano successori di Messina Denaro e che lo Stato possa continuare a garantire una ripartenza di questa fetta di territorio martoriata e messa in ginocchio».
Per Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso nell’attentato di via d’Amelio, “è morto un criminale. La sua cattura non è stata un successo dello Stato, ma una resa a fronte della sua malattia. Ha preferito farsi curare dallo Stato piuttosto che curarsi nella latitanza. Purtroppo, essendo laico, non posso neanche sperare in una giustizia divina. Questa sua latitanza è stata una vergogna per lo Stato, come lo sono state le latitanze di Bernardo Provenzano, di Totò Riina”.
“Oggi che lui se n’è andato, di fronte alla morte ciascuno si ferma, ma la morte non può cancellare le responsabilità di quella violenza, di quei crimini, di quelle centinaia di persone che sono state spazzate via». Lo ha detto don Luigi Ciotti, fondatore di Libera.
Ai magistrati che lo interrogavano lo scorso febbraio Matteo Messina Denaro, a proposito dell'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido, spiegò: "Una cosa fatemela dire: forse è la cosa a cui tengo di più. Io non sono un santo, ma con l'omicidio del bambino non c'entro". Ma per Nicola Di Matteo, fratello di Giuseppe, "il perdono è impossibile". "Sono tutti imperdonabili. Tutti. Lo sono per mia madre soprattutto, ma anche per me", dice. Oggi, come nel giorno dell'omicidio del fratello, il dolore si rinnova. "Non sono belle giornate, ancora una volta alla mente vengono quei giorni terribili. E' una ferita che si riapre sempre, un segno che rimane a vita. Era un bambino, solo un bambino...".