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30/08/2023 07:23:00

Lo stupro di gruppo, la ragazza violentata lascia Palermo

 Lascia Palermo per una comunità protetta fuori dalla città la diciannovenne palermitana violentata a luglio da sette ragazzi. La giovane vittima, che ha denunciato i suoi stupratori, in serata ha lasciato il capoluogo ed è stata trasferita in un centro in cui le verrà anche offerta la possibilità di lavorare.

Proprio ieri pomeriggio la giovane aveva pubblicato uno sfogo sui suoi canali social in cui dimostrava un cedimento rispetto alla marea che l’ha travolta. “Sono stanca, mi state portando alla morte. Io stessa anche senza questi commenti non ce la faccio più. Non ho voglia di lottare né per me né per gli altri. Non posso aiutare nessuno se sto così” si legge nel commento su Instagram. E ancora: “Non serve a nulla continuare, pensavo di farcela ma non è così“. Per concludere: “Se riesco a farla finita porterò tutti quelli che volevano aiutarmi sempre nel mio cuore“. Il post è stato scritto a commento un commento in cui si scrive che la ragazza era consenziente, la versione che inutilmente gli indagati hanno tentato di sostenere davanti al giudice.

LA LETTERA. “Cara ragazza, anonima, di Palermo, sono il padre della vittima del noto ‘stupro di Capodanno’ di Roma, e scrivo per appoggiarti. Devi reagire contro chi, sui social, ha farneticato che a ‘una come te’ è ‘normale’ che capiti. Ma ti scrivo anche per avvertirti: sei sola, perché gli altri non comprendono. Vittima di uno stupro di gruppo? La gente non capisce. Prendo quindi la penna, sei tu che mi hai dato il coraggio”. Inizia così la lunga lettera che un papà scrive su Repubblica indirizzata alla vittima dello stupro di gruppo di Palermo. L’uomo che scrive sul quotidiano è il padre della minorenne vittima di uno stupro di gruppo in una villetta di Primavalle, a Roma, nel Capodanno del 2021 in pieno lockdown.

“Mia figlia aveva 16 anni quando è stata drogata e stuprata da almeno cinque individui. È inequivocabile, il referto ospedaliero certifica gravi lesioni. Ma per noi, come temo sarà anche per te, l’evidenza non basta: il gioco processuale sarà a dimostrare che tu, come lei, volevate esattamente quello che vi è successo”, si legge su Repubblica.

“Pensavi di aver lasciato tua figlia minorenne in un luogo sicuro, dalla famiglia della sua migliore amica. Non immagini che l’adulto a cui l’hai affidata, senza avvisarti, la porta a una “festa” proibita in tempo di covid. Finché piomba una chiamata da una caserma dei carabinieri, prendi la macchina e corri oltre i limiti di velocità e varchi quel portone di ferro per trovare un esserino annichilito, prostrato dall’enormità del sopruso. La abbracci ma senti che non c’è, è in una bolla tutta interna di sofferenza. La lasci alle deposizioni, dolorose ma necessarie- si legge ancora- Poi cerchi di circondarla di affetto e sostegno senza capire qualcosa di misterioso che disperatamente cerca: smentire a sé stessa l’evidenza. Non è possibile, sono i miei amici! non mi hanno abbandonata agli stupratori, non mi hanno filmata mentre abusavano di me, non hanno mandato whatsapp di insulto perché erano stati chiamati a deporre! Non hanno davvero riso quando qualcuno sbandierava come un trofeo la maglietta sporca del mio sangue. Ma poi la verità piomba come un martello. Arrivano le fobie: mia figlia, cara ragazza di Palermo, è una tua coetanea normale, ma non riesce a entrare in un centro commerciale e corre di nuovo in casa perché si sente addosso tutti gli sguardi. I suoi amici non capiscono perché non accetta mai di andare a casa di qualcuno, ma si può raccontare cosa le è successo l’ultima volta che l’ha fatto?” E la domanda che un padre non vorrebbe mai sentire: “Una ragazzina che ti chiede se sarà mai più capace di avere fiducia in un uomo, amarlo, costruire con lui una famiglia“.

Poi il pensiero del suicidio: “Nei momenti più bui mia figlia aveva evocato il desiderio di farla finita, e la notte si sente più sola; lo sai che ha fissato il vuoto dalla finestra come una tentazione. E poi gli psicofarmaci e il loro suadente stordimento. Conquista la Maturità e anzi la competitiva ammissione a un collegio universitario di merito. Vuole studiare anche per proteggere altri da quello che è successo a lei: sceglie giurisprudenza, per diventare Procuratore. Ma la prima notte nel collegio, da sola fra estranei, la riassale la paura paralizzante. Ora non c’è scelta: ospedale psichiatrico. Duri mesi ipermedicata, ma è forte. Chiede di essere non solo una paziente ma anche una collaboratrice: impara molto e termina la degenza. Ormai l’anno accademico è perso, e vuole imparare di più: entra volontaria in un rifugio per donne vittime di violenza“.

“Gli stupratori — con la coerenza dei vigliacchi — non scelgono la ragazza più “provocante”, ma quella più indifesa- conclude la lettera- Ti siamo vicini, ora che tutto dipende dalla Giustizia. Quanto vale una sentenza? Quale futuro avrà la ragazzina che vuol fare il Procuratore per difendere le altre vittime? E quale messaggio riceverai tu, dopo esserti esposta sui social a nome di tutte, se invece di una decisione che riconosce il vostro coraggio di denunciare, avrete una formula che, in linguaggio giurisprudenziale, significa “facevi meglio a stare zitta, rompicoglioni”?.



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