Caro direttore, l’articolo scritto il 31 dicembre 2022 da Rossana Titone “No, il 2022 non è stato delle donne”, su Tp 24, mi ha spinto a scrivere questa lettera.
E’ un omaggio a Michela Murgia (1972- 2023), alla scrittrice, la cui opera e il cui comportamento, fisico e intellettuale avevano prodotto in vita un’ infinità di polemiche e di contrapposizioni - il più delle volte gratuite e ingiustificate - e che subito dopo la sua morte hanno mosso e continuano a muovere autentici e sinceri sentimenti di affetto, oltre che di onesti attestati di stima nei suoi confronti.
Con il suo stile e il suo lessico dirompente ha saputo riportare al centro del dibattito sia l’annosa questione del difficile, persistente e diseguale rapporto uomo donna sia dello stesso sistema patriarcale che ancora permea e condiziona in larga parte ampi strati della società. L’autrice di Accabadora non ha mancato mai di denunciare con la forza e l’incisività dei suoi interventi e la scrittura penetrante e potente dei suoi libri, il tema che le stava più a cuore. La sua intensa militanza, che ha voluto concludere con un ragionato e ponderato atto finale di straordinario impatto emotivo, lo hanno dimostrato ampiamente. Le stesse modalità con cui ha inteso gestirlo nelle sue ultime settimane di vita ne sono l’esempio più tangibile ed eclatante. I mesi della sua malattia, che lei ha deciso di raccontare usando uno statuto tutto suo, sono quelli che, secondo me, connotano e innovano nel profondo una parte consistente della letteratura finora conosciuta. Anche Ada D’Adamo, la vincitrice dello Strega 2023, due mesi dopo la sua morte, con il libro Come d’aria, narra la storia della figlia ammalata gravemente fin dalla nascita che, sulla soglia dei suoi cinquant’anni, scopre anche lei di essere stata colpita da un male incurabile. Una scoperta che diventa l’occasione per lei di rivolgersi direttamente alla figlia per raccontare la loro storia. Il suo libro da settimane è al vertice della classifica delle lettrici ed elettori.
Michela Murgia è stata definita un’autrice originale, e talentuosa, abile comunicatrice, intellettuale indomita, attivista ostinata, entusiasta di natura e di formazione. Era cattolica. E poi era donna, moglie madre e amica, antieroina e fuori dal coro, diversa e libera a modo suo. La sua postura intellettiva e carismatica, rafforzata dalle sue idee impetuose e nel contempo pregnanti, non possono che far riflettere anche i più riottosi conservatori sul vero significato che la donna è chiamata a svolgere. Anche rispetto al modo, alla forma, al contenuto e alle manifestazioni più intime che aveva saputo interiorizzare, evidenziare e trasmettere in maniera esemplare.
Fatte le debite distinzioni storico-culturali, di spazio e di tempo, nessuno nega che si tratti di una degna erede della conterranea Grazia Deledda, (1871- 1936) premio Nobel per la letteratura 1926, la quale per la sua meritata notorietà era diventata oggetto della perfida ironia e sarcasmo che Luigi Pirandello aveva rivolto al marito, che aveva scelto di assecondarla nella sua complicata carriera di scrittrice.
Per tornare all’articolo citato, sono d’accordo con l’autrice quando afferma: “è un traguardo storico e importante che una donna per la prima volta diventa capo del Consiglio dei ministri” e un’altra donna giovane e battagliera, che si è trovata, rompendo vecchi schemi e rigide formalità, alla guida del maggiore partito dell’opposizione. Ma anche tutto questo da solo non basta se e fino a quando vi sono profonde disparità di trattamento e di atteggiamento discriminatorio fra uomo e donna, da quello economico e sociale, a quello politico, civile, professionale, al mondo del lavoro. “C’è una battaglia che va condotta insieme ed è quella, conclude Rossana Titone, della partecipazione e della libertà”, per la quale Michela Murgia, anche dopo la sua scomparsa, resta un punto fermo e di riferimento indispensabile.
Voglio terminare con un ricordo di Nichi Vendola: “E’ così difficile pensarti immersa nel silenzio, per ora e per sempre, tu che eri una sacerdotessa della parola, Cara Michela, piango per te che voli via e per noi che restiamo”.
Filippo Piccione