Il mistero della scomparsa del peschereccio "Massimo Garau" ruota attorno ai 28 minuti che passano dalle 18 circa del 16 febbraio del 1987 alle 18:28 che è l'ora in cui si è fermato l’orologio della sala mensa dell’imbarcazione. L’ultimo contatto radio, infatti, tra la società armatrice del Garau e il peschereccio è avvenuto alle ore 18, poco prima dell’affondamento. Si pensa che proprio in quel momento che riporta l’orologio di bordo, si sia consumata la tragedia.
Alla radio il comandante, Paolo Paleino, così come riportato da dichiarazioni ufficiali dell’armatore Mazara agli organi inquirenti, non era particolarmente preoccupato ma solo allarmato per le condizioni del mare che sembrava non potessero migliorare da lì a breve. Qualunque decisione presa dal comandante non poteva che essere condivisa dall’armatore. In mare e in quelle circostanze si trovavano loro, e nessuno meglio di loro avrebbe potuto capire e valutare le reali condizioni atmosferiche e cosa sarebbe stato meglio fare.
Le ultime parole del Comandante – Il contatto alla radio terminò con le parole del comandante che rassicurò l’armatore dicendo che avrebbe preso la decisione di continuare la navigazione e che, se le condizioni fossero peggiorate, avrebbe cercato un immediato riparo, dirigendosi a sud di Capo Bon, oppure avrebbe usato la solita tecnica, quella di mettere la nave alla cappa. Tale tecnica consiste nel mettere la prua a favore delle onde con motore in forza, facendo fare il movimento al peschereccio, in gergo chiamato beccheggio. Il Capitano avrebbe messo in atto questa manovra fin quando il tempo non si sarebbe rimesso o nella peggiore delle ipotesi, avrebbe fatto ritorno a Mazara. Le indagini nella relazione tecnica sulla ricerca, ritrovamento e ispezione del relitto del Garau, dimostrarono che Paolo Paleino, in realtà aveva cambiato rotta.
Il cambio di rotta – Dalla rotta iniziale di 261°, Mazara – Isola dei Cani e il punto in cui fu ritrovato il peschereccio, sembra logico ipotizzare che il Comandante avesse deciso un cambio di rotta, da 261° a 236°, per dirigersi verso Capo Bon. Lo fece per accorciare la distanza con la terra ferma e dirigersi dove avrebbe potuto trovare un ancoraggio sicuro viste le condizioni meteo marine non certo favorevoli.
Nessun S.O.S dal “Massimo Garau” - Quella fu l’ultima comunicazione avvenuta tra la società armatrice e il motopesca. Da quel momento il silenzio cadde sul Garau. Ad oggi in tutta la tragedia del peschereccio mazarese e dei suo marinai risulta incomprensibile il fatto che la nave non abbia lanciato alcun S.O.S. o, forse, terribilmente comprensibile per quello che la società armatrice ha sempre sospettato fosse realmente accaduto. Il naufragio è avvenuto ad una velocità incredibile, al punto che il Comandante o chi era in plancia di guardia in quel momento, non ha avuto il tempo di lanciare la richiesta di soccorso. Lo strumento che consente di lanciare l’S.O.S. si trova a poche decine di centimetri dal timone. Non è pensabile che in una sera di mare agitato non vi fosse nessuna in plancia o chi vi fosse, non abbia potuto schiacciare il pulsante vicino alla timoneria. Purtroppo quando si parla di naufragi che in maniera velocissima fanno colare a picco le navi, la storia ci consegna innumerevoli casi di speronamento, capaci di mettere fuori uso le strumentazioni di bordo della malcapitata in pochissime frazioni di secondo.
Il ritrovamento della scialuppa con quattro naufraghi a bordo – Dopo due giorni dalla scomparsa del Garau, il 19 febbraio del 1987, una motonave, la Pantelleria, via radio, ricevette la comunicazione da una nave rumena, la Tirgu Neant, di aver avvistato una scialuppa con dei naufraghi a bordo. La motonave Pantelleria, appena ricevuto il messaggio, si diresse su luogo indicato e in effetti trovò quattro corpi appartenuti all’equipaggio del “Massimo Garau”. Il recupero effettivo dei marinai fu affidato al traghetto Pietro Novelli, in navigazione distante poche miglia dal luogo del ritrovamento. Tre italiani furono trovati morti, il comandante Paolo Paleino, il direttore di macchina Geo Caselli, il cuoco Girolamo Perez, morti per assideramento e così il quarto marinaio, il ghanese Solomon Quartey Kinarte, il graisseur (l’ingrassatore), spirato immediatamente dopo il recupero. L’unico trovato in vita non ebbe il tempo di spiegare cosa fosse accaduto. Il resto dell’equipaggio tra cui il nostromo Matteo Asaro e altri quattordici marinai africani non furono mai ritrovati. Per molti giorni continuò il mistero della nave scomparsa, dov3e tutti o quasi tutti, improvvisati esperti di disastri marittimi, giornalisti, pescatori, cittadini comuni, avevano elaborato teorie circa l’affondamento, ognuna delle quali, a loro dire, era quella corretta.
Il luogo esatto dove si trovava la nave – Per scoprire dove si trovava il peschereccio affondato bisognerà attendere ancora qualche tempo. Il Garau era a 83 metri di profondità a 37° 24’ 08” Nord e 11° 38’ 47” Est, punto che è distante 5 miglia dal confine sud del banco di Talbot, a quasi 47 miglia da Mazara, a 35 miglia da Pantelleria, e circa 34 miglia da Capo Bon, e molto probabilmente con l’equipaggio che è rimasto intrappolato a bordo, mettendo così fine a tutte quelle voci, tra le quali, anche quella dell’ammutinamento da parte dell’equipaggio africano. Il lavoro di individuazione del relitto fu svolto dal comandante in seconda della Capitaneria di Porto di Mazara del Vallo, Agate, nel cui elaborato del maggio del 1987, quattro mesi dopo il naufragio, perveniva alla conclusione che il natante giaceva sul fondale in una area che in seguito risultò essere quella molto prossima a quella nella quale, nel 1996, fu recuperato il peschereccio. Si scopre la tragedia nella sua interezza e la disperazione di non aver potuto fare nulla per salvare quei poveri marinai.
Il dramma dei familiari e degli accusati di omicidio colposo plurimo – Inizia in quel momento il dramma dei familiari delle vittime e di coloro che vennero accusati ingiustamente di omicidio colposo. Per tale reato, come detto, gli imputati non furono mai condannati, ma neanche ebbero la piena assoluzione in quanto il processo penale si chiuse per intervenuta prescrizione, dando così luogo alla richiesta di risarcimento danni dei familiari in un nuovo processo civile.
L’ingresso del Garau in porto a Trapani e il segno di una collisione – Nel 1996 il Massimo Garau venne recuperato e trasportato al porto di Trapani. Gaspare Bilardello lo racconta così nel suo libro: “la cosa che mi saltò agli occhi fu la massiva presenza di forze militari, polizia, carabinieri e guardia di finanza. Più tardi venimmo a conoscenza della presenza dei servizi segreti militari dello Stato italiano. La presenza di questi ultimi fu una circostanza inaspettata ma, nel seguito, si comprenderà anche la ragione del loro trovarsi lì, quel giorno, a Trapani. Il giorno del recupero giornalisti e reporter, alcuni anche da Paesi esteri, erano presenti in numero cospicuo sul luogo. In molti parteciparono al recupero, compreso il proprietario di un peschereccio mazarese, il Nazario Sauro, che lavorò con l’organizzazione facendo da supporto logistico al pontone. Il proprietario del peschereccio non fece trapelare nulla, attendendosi alle disposizioni della procura che lo aveva obbligato al silenzio assoluto in quanto l’operazione era classificata come “top secret”. Al mio fianco, il legale della compagnia Oceanpesca, un anziano avvocato che quel giorno mi aveva accompagnato al porto di Trapani. Il marittimista in questione, esperto di disastri marittimi con tanti anni di carriera, sin da subito aveva le idee chiare di quali fossero state, verosimilmente le cause dell’affondamento. Alla vista del relitto, distante qualche decina di metri, proprio mentre faceva ingresso nel porto di Trapani, scorse una grossa rientranza, una bozza tra l’opera viva e l’opera morta del peschereccio lungo l’asse di galleggiamento. Il particolare fin troppo evidente, non mi era affatto sfuggito.
La testimonianza, la presenta di navi militari, americana e russa e il contro ordine sulla sospensione delle ricerche – Era di turno, Chadì, quel 16 febbraio del 1987. Stava seduto nella sua postazione alla sala radio comando della Guardia Costiera di Tunisi, quando ricevette dai suoi superiori in grado l’immediato ordine di far uscire due motovedette e farle dirigere nell’area di Capo Bon. Era stata diramata un’allerta a tutti i porti del Mediterraneo che insistevano nelle immediate vicinanze di quell’area. L’allerta proveniva dal Comando della Capitaneria di Porto di Trapani, coadiuvata dalla Capitaneria di Porto di Mazara. Ricevuto l’ordine Chadì allertò gli ufficiali di due motovedette tunisine ai quali indicò l’area in cui dirigere le due unità costiere, ossia a nord di Capo Bon, nelle vicinanze dell’Isola dei Cani. Le informazioni erano molto scarse, raccontava Chadì, Comunicarono dall’Italia che bisognava fare le ricerche di un peschereccio con equipaggio a bordo, ma senza dare altre indicazioni. Nelle stesse ore e nei giorni precedenti il naufragio – continua Chadì – molte erano le esercitazioni militari che insistevano nelle acque internazionali del mar Mediterraneo. La nazionalità delle due flotte militari impegnate in esercitazioni -non sfugge a nessuno, considerando il periodo storico – erano una americana e una russa. Chadì lo aveva confermato. Ma ci fu un imprevisto: subito dopo che le motovedette uscirono dal porto, senza che fossero arrivate in quel tratto di mare dove presumibilmente il Massimo Garau era sparito, arrivò un contrordine con il quale si disponeva la sospensione immediata delle ricerche e il ritorno immediato in porto. Chadì ha confermato che il contrordine ricevuto dai suoi superiori seguì un dispaccio pervenuto dall’Ambasciata italiana a Tunisi, direttamente dall’Ambasciatore Italiano pro tempore, senza che spiegassero le motivazioni. Come era possibile che la Capitaneria di Porto tunisina, allertata poco prima per coadiuvare le ricerche del Massimo Garau, fu invitata a far rientrare immediatamente le motovedette sospendendo, di fatto, le ricerche? Non vi era nessuna ragione. E chi dall’Italia, aveva dato ordine all’Ambasciatore italiano di chiedere alle autorità tunisine la sospensione delle ricerche? Come è possibile si chiede – Gaspare Bilardello nel suo libro Massimo Garau – La vera storia del naufragio – che in anni di processi, di audizioni, di interrogazioni parlamentari, di commissioni d’inchiesta del Ministero della Marina, del Comando Generale delle Capitanerie di Porto, questo dato così importante non è mai stato reso pubblico? Chadì contravvenendo al suo giuramento di ex militare, riferì che il dossier “Massimo Garau” era stato dichiarato dalle autorità tunisine “top secret”.
Le considerazioni finali e l’appello di Gaspare Bilardello affinché qualcuno parli e si renda giustizia a quei marinai - “Il naufragio del “Massimo Garau” è tra quei casi per i quali sarebbero auspicabili delle testimonianze di chi realmente ha visto e purtroppo fino ad oggi taciuto, o di chi conosce la reale causa dell’affondamento e che per varie ragioni non la rende pubblica. I segni evidenti di uno speronamento sono impressi sul relitto e gli stessi ci riportano ad una collisione con un mezzo navale, militare o altro. Quelli che non sono evidenti sono altri segni, che al contrario avrebbero dovuto esserci al fine di avvalorare la convinzione nel caso specifico trascritta nella sentenza civile di condanna dell’armatore che, escludeva totalmente lo speronamento. La speranza affinché la verità trionfi, è che qualcuno che sa, conosce, si decida a parlare. Solamente un fatto nuovo può riaprire il caso del naufragio del peschereccio. Si facciano avanti coloro che sanno, lo facciano con coraggio, lo stesso coraggio che da sempre animava i valorosi marinai del “Massimo Garau”, ai quali, si è obbligati a rendere vera giustizia.
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