Scrittrice e intellettuale italiana Michela Murgia, aveva 51 anni ed era malata di cancro da tempo: a maggio aveva detto pubblicamente di avere un tumore al rene al quarto stadio.
Era nata a Cabras, in provincia di Oristano, in Sardegna, nel 1972 e prima di fare la scrittrice aveva fatto studi teologici e vari lavori tra cui l’insegnante di religione, la cameriera e la portiera di albergo. Il suo primo libro – Il mondo deve sapere, pubblicato nel 2006 – era il diario di una venditrice telefonica di aspirapolveri Kirby, lavoro che Murgia all’epoca svolgeva davvero. Paolo Virzì ne trasse il film Tutta la vita davanti, del 2008. Nel 2009 uscì il suo romanzo di maggior successo, Accabadora, ambientato in Sardegna, che vinse il premio Campiello: la storia di una bambina in custodia a una donna che per lavoro fa l’“accabbadora”, appunto, cioè finisce gli agonizzanti.
Nel 2013 uscì il saggio Ave Mary in cui Murgia riuscì a sintetizzare la sua formazione cattolica con il femminismo (cosa che avrebbe rifatto più di recente con il libro God save the queer), reinterpretando la figura della madre di Gesù. Con questo libro impostò la critica del patriarcato che avrebbe sviluppato nei pamphlet, negli articoli e nei post online degli anni seguenti. Il romanzo Chirù del 2015 è forse il suo più autobiografico: al suo interno delineava la sua visione della relazione tra amore e potere. Negli anni successivi si era fatta conoscere oltre che per i suoi libri anche per il suo impegno da attivista femminista e come intellettuale. Era diventata nota al grande pubblico anche grazie al podcast Morgana, fatto insieme alla scrittrice Chiara Tagliaferri, che in diverse stagioni raccontava biografie di donne (e poi anche di uomini) che «tua madre non approverebbe».
Pur avendo esordito a 35 anni, Michela Murgia è stata una delle intellettuali italiane più influenti degli ultimi vent’anni. Non si definiva una scrittrice, ma un’attivista che usa la letteratura, e più in generale la scrittura, per portare avanti le sue battaglie politiche, in una prima fase identificate con l’autonomismo sardo (nel 2014 si candidò alla presidenza della Regione Sardegna raccogliendo il 10 per cento dei voti), poi con il femminismo e poi con le tematiche LGBTQ+. È stata una delle prime a capire e sfruttare i social network saltando la mediazione di editori e giornali.
In una lunga intervista data a maggio al Corriere della Sera, Murgia aveva parlato del riconoscimento della malattia e dell’utilizzo delle parole per definirla partendo dal suo ultimo libro, che è intitolato Tre Ciotole e si apre proprio con la diagnosi di una malattia grave. Aveva anche parlato del suo lavoro e di come viene percepita dal pubblico, e aveva detto che se ne sarebbe andata «piena di ricordi». Aveva parlato inoltre della sua famiglia («io non sono sola. Ho dieci persone. La mia queer family»), del suo impegno politico e del rapporto con la fede.
Da quel momento, Michela Murgia ha raccontato pubblicamente i suoi ultimi mesi di vita. Già nel 2014, quando era candidata alla presidenza della Regione Sardegna, le era stato diagnosticato un cancro al polmone. Allora decise di non parlarne perché “non volevo pietà”. Questa volta il cancro è partito dal rene, ma a causa del Covid “avevo trascurato i controlli”. Murgia ha lottato per i suoi ideali fino alla morte, avvenuta a Roma all'età di 51 anni. La sua vita privata ha attirato l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica dapprima con l'annuncio della malattia, e la breve prospettiva di vita, e in seguito con le seconde nozze “in articulo mortis” per garantire alla sua famiglia “allargata” quello che la “legge non garantisce”: pur non credendo nel valore del matrimonio, la decisione fu un “atto politico”. L'ultimo atto.
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