Pnrr beffa per la Sicilia. E nessuno difende l'Isola
I sindaci stanno impazzendo. Dopo l’emergenza maltempo, dopo l’emergenza caldo, dopo l’emergenza incendi, volevano andare in ferie, poveretti, se lo meritano anche loro. E invece gli tocca stare al telefono, cercare il deputato, il dirigente in assessorato, l’amico funzionario, magari il presidente Renato Schifani. Lui no, non parla. E se parla è per ringraziare Matteo Salvini (lo ha fatto ancora, annunciando la riapertura dell’aeroporto di Catania: «Ringrazio Matteo Salvini che ha seguito da vicino con spirito di servizio e concretezza ogni fase dell’emergenza»).
Suonano i telefoni, impazziscono le chat. Ma nessuno che dice una parola: è caos sul Pnrr in Sicilia. La Regione è a un passo dal perdere 2,4 miliardi di fondi del grande piano comunitario, dopo la rimodulazione delle risorse da parte del governo Meloni.
La vicenda è grave. Giusto per fare un esempio, solo due settimane fa l’Azienda Sanitaria Provinciale di Trapani aveva annunciato il via ai lavori per la creazione di tredici case di comunità – le nuove strutture previste in tutta Italia per la medicina territoriale. Sono state tutte tagliate. E con loro un’altra cinquantina di case di comunità in tutta la Sicilia. «Ma noi abbiamo già fatto le gare d’appalto. Ci sono obbligazioni irreversibili. Non possiamo tornare indietro, sarà la Regione a trovare altre fonti di finanziamento, eventualmente», spiega il commissario dell’Asp, Vincenzo Spera, che ha fatto le corse contro il tempo per mandare in gara lavori complessivamente per oltre quaranta milioni di euro, che adesso non si capisce chi debba pagare.
Ed è questo il terrore dei sindaci: molti hanno già fatto le gare d’appalto, alcuni lavori sono in fase di definizione. Se non arrivano i fondi del Pnrr saranno i Comuni i primi ad essere esposti. In mezzo c’è di tutto, dal campo di calcetto in periferia fino al maxi centro direzionale. Cantieri del Pnrr già aperti che rischiano di restare cattedrali nel deserto. Opere che potrebbero non vedere mai la luce, dalla rigenerazione urbana all’efficienza energetica, fino ai piani urbani integrati delle città.
A rendere più nevrotico il tutto è il fatto che ancora non si sa, nel dettaglio, quali opere saranno tagliate. Le informazioni arrivano a singhiozzo, ma essere più o meno avanti con le opere non salverà gli enti locali dai tagli. Sindacati, centri studi, fondazioni pubblicano ipotesi di tagli, e aggiungono panico su panico.
La cosa singolare è che mentre il presidente del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, della Lega, ha alzato la voce contro il governo, per i tempi e per i modi in cui sono stati fatti i tagli, in Sicilia tutto tace. Nessuno, a livello istituzionale, dice una parola. Con l’aggravante che il Pnrr non è un tesoretto dato all’Italia dopo la pandemia – come spesso si sente raccontare – ma uno strumento che nasce per attutire i divari territoriali tra nord e sud del Paese (il quaranta per cento della spesa deve essere infatti obbligatoriamente investito nelle regioni meridionali), ma con questi tagli lineari a farne le spese sono le Regioni più arretrate, come la Sicilia. Un altro esempio viene da un’opera che salta: la Palermo-Catania ad alta capacità ferroviaria. Sono stati tagliati duecentosettantasei milioni di euro, agli ultimi due lotti, già aggiudicati a We Build, il colosso delle costruzioni a cui sono affidati anche progettazione e realizzazione del Ponte sullo Stretto.
Come si recupereranno gli interventi già in cantiere? Come si prevede di raggiungere i target senza queste risorse per le aree interne, per le infrastruttura, per la transizione ecologica, per il rischio idrogeologico?
La parola d’ordine è: trovare altre coperture. Ci sono altri fondi comunitari, sì, che la Sicilia però non sa spendere. Nell’ultimo documento diffuso dal Dipartimento regionale della Programmazione la Sicilia ha speso ha solo la metà dei 4,2 miliardi del Po-Fesr 2014-2020. Si perderanno così 2,1 miliardi che si sarebbero dovuti investire in infrastrutture, progetti contro il dissesto idrogeologico (sessantacinque milioni di euro) trasporti, ambiente, realizzare nuovi impianti per la gestione dei rifiuti (centoquattordici milioni di euro: non è stato investito, si legge nella relazione, il novantotto per cento degli fondi destinati ai nuovi impianti per il trattamento ed il recupero dei rifiuti).
Andranno restituiti anche i quaranta milioni di euro che sarebbero dovuti servire per rilanciare il comparto turistico. Agli uffici della Regione si sono portati avanti con il lavoro: girando i motori al massimo, facendo in modo che tutto per vada per il verso giusto, comunque, a fine anno, un miliardo e settantacinque milioni di euro rimarranno comunque non spendibili.
Non va meglio con l’Fse, il Fondo Sociale Europeo per l’occupazione e lo sviluppo. Lì la Sicilia deve spendere e rendicontare, entro fine anno, duecentonovantacinque milioni di euro. Il budget assegnato alla Sicilia, nove anni fa, era notevole: più di ottocento milioni di euro. Duecento milioni, la fetta più grossa, per l’occupazione. Poi venivano l’inclusione, le scuole, la formazione.
E al di là di questi dati, non è possibile – spiegano i tecnici – per i severi limiti imposti dalla programmazione europea, pensare di rimodulare tutte queste risorse non sfruttate per coprire i buchi del Pnrr. Qualcuno deve spiegare ai siciliani come uscire da questo labirinto. Ah, solo se Schifani parlasse.
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