Settimana densa come da tempo accade, il vento che arriva da nord e abbiamo tutti iniziato a respirare. Fotografie, filmati di devastazione tra fuoco, acqua e i trent’anni a Roma della mafia che portava la sua linea della palma fuori dall’isola.
In testa gira potente l’attacco del Dies irae della Messa di Requiem in Re minore K 626 è l'ultima composizione di Mozart, rimasta incompiuta per la morte dell’autore e completata successivamente.
"Dies irae, dies illa, Solvet saeclum in favilla, Teste David cum Sibylla. Quantus tremor est futurus, Quando Judex est venturus, Cuncta stricte discussurus!"
"Giorno d'ira, quel giorno distruggerà il mondo in faville, com'è attestato da Davide e dalla Sibilla. Quanto grande sarà il terrore quando verrà il giudice a valutare ogni cosa severamente.”
Ero alla presentazione del catalogo per la mostra di Letizia Battaglia alle Terme di Caracalla, luogo di una suggestione unica che ti sovrasta per bellezza e dove quelle fotografie erano carezze al contrario e, per ammissione di Letizia in quei giorni del 1992 abbassò la macchina fotografica a Capaci e Via D’Amelio.
Fu sopraffatta da troppo, da tutto, si arrese.
Il tempio di Segesta avvolto dalle fiamme, Palermo circondata da questo orrore, ma davvero l’uomo è capace di tanto? Oggi la stanchezza ad ascoltare dichiarazioni di rito, piani futuri di prevenzione e l’inadeguatezza di certe parole su ogni cosa, e forse un silenzio sarebbe stato gradito.
Ricordo un rumore sordo, rientravo a casa nel silenzio della notte e nell’androne del palazzo sentii qualcosa di preciso ma non comprensibile. Accesi la tv e l’edizione straordinaria a quell’ora mi diede il titolo a quel rumore di qualche minuto prima: la basilica di San Giovanni in Laterano e la chiesa di San Giorgio al Velabro le vittime di tanta oscenità.
Maledetta linea della palma che saliva, e Roma come Milano come Firenze che avevano sempre assistito alle nostre devastazioni come cose nostre, incredule tra le loro macerie e i loro morti.
Qui a Roma in questi giorni abbiamo vissuto il trentennale senza retorica senza passerelle, Roma poi digerisce tutto è così da duemila anni, è la sua storia.
A Caracalla, ha aperto con la grazia e il garbo della sua persona Laura Accerboni poeta amica di un festival a finis terrae con queste parole
Vorrei che
tu portassi
una maglia a righe
e io essere
quella mamma
e andarcene
intonati al cielo.
Invece tu metti
le mie calze
sulla faccia
e ridi
con una pistola
che finge
e il resto
nero.
Laura e la leggerezza calviniana, e quel film fotografico poco distante da noi con una platea commossa dopo oltre trent’anni da quelle devastazioni, e contemporanei noi ad assistere muti ad altre devastazioni e scempi.
Ennio Flaiano ci ricorda - provocando con sapienza - “che i nomi collettivi sono al servizio della confusione, Popolo, Pubblico…, poi ti accorgi che siamo noi. Invece, credevi fossero gli altri”.
Non ho idea se mai verrà un giudice a valutare ogni cosa severamente, ma l’assunzione di responsabilità è affar nostro e lì non possiamo delegare.
Collettivamente possiamo rialzare la testa, con una professoressa che conduce i suoi studenti all’amore per lo studio, con una mamma che con discrezione lascia che i suoi figli si innamorino del bello e della lettura, con un certo tipo di giornalismo che denuncia lo scempio della bestialità e nonostante tutto c’è ancora qualcuno che nel vuoto di oggi ha bisogno di mafia.
Abbiamo solo bisogno di normalità, scoprendo a nostre spese dopo oltre trent’anni che è un sostantivo complesso per i più: un ossimoro del senso.
Abbiamo ragazze ragazzi che credono se messi alla prova e sorprendono per complessità a dispetto dell’anagrafe, a loro dobbiamo rivolgere ogni azione e confidare che saranno capaci di declinare un tempo presente e futuro sicuramente diverso.
Un grazie perché decideranno di restare di investire energie e saperi qui, convinti che non esiste un mondo migliore ma possibile.
giuseppe prode
a chi segue questa rubrica, un grazie per il tempo che dedicano alla lettura.
Al direttore e alla redazione di TP24, grazie per lo spazio e la pazienza.
Prendo un tempo per respirare, per ricaricare la testa con altre suggestioni.
Una bella estate e se avrete tempo sotto l’ombrellone guardatevi la punta dei piedi, non sarà una perdita di tempo ma un modo per andare oltre