“Abbiamo perso prima di tutto un poeta. E poeti non ce ne sono tanti nel mondo, ne nascono tre o quattro soltanto in un secolo”. Così uno dei passaggi più noti dell’orazione funebre di Alberto Moravia per Pier Paolo Pasolini.
E di Silvio Berlusconi? Cosa potremmo dire nella sua orazione funebre? Di certo, che di quelli come lui non ce ne sono tanti nel mondo. Ne nasce uno in un secolo, forse anche meno.
E' toccato a noi. Noi, italiani, di questo tempo qui.
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I miei vent'anni nessuno me li dà più indietro.
Nè i miei diciotto, i miei trenta.
E io sono cresciuto - come tutta la mia generazione .- con i cartoni alla tv di Berlusconi, Bim Bum Bam, ed i primi eccitanti spogliarelli a Colpo Grosso, le risate di Drive In, i film. Il sabato pomeriggio andavamo con gli amici alla Standa, non fosse altro che per provare il brivido della scala mobile, l'unica in città. Appena maggiorenne, poi, mi affacciavo alla politica, alla vita pubblica, all'interesse per il bene comune, in un Paese dove, ad un certo, punto, andava fortissimo la squadra del Presidente del consiglio, e le sue partite venivano trasmesse spesso dalla tv del presidente del consiglio, che erano le uniche tv private, in Italia. E durante l'intervallo, c'era la pubblicità dei supermercati del presidente del consiglio. E se andavo al cinema, magari era un film prodotto dal presidente del consiglio, proiettato in uno dei cinema del presidente del consiglio, e la principale casa editrice, quella che vendeva best seller, era del presidente del consiglio, come tanti giornali e periodici. E io mi sentivo come uno che non ci capiva una mazza, in quel Paese lì. Pensavo di essere di sinistra. Mi sbagliavo: in pratica dovevo difendere gli spazi di libertà, la proprietà privata, da quello lì, quello che aveva tutto.
Questo è stato Berlusconi per noi. Una specie di totem supremo, capace di condizionare ogni tipo di immaginario, qualcosa con cui andavi a sbattere sempre, nel discorso pubblico come nella vita privata, per gli ossessionati come per i disincantati. Nessun altro, così accentratore, così oggetto di desiderio e di odio, così TUTTO. Lo si vede in queste ore, non solo per la quantità di memorie in ogni campo, dalla società, allo sport, alla politica, ma anche per i toni esaltati di chi si strappa le vesti, del modo inginocchiato in cui si dichiara addirittura lutto nazionale, come se fosse morto un Papa. Ma a differenza del Papa, qui non se ne fa un altro, di Berlusconi.
Quando accadono eventi come questi, che riguardano il nostro Paese, con le tifoserie che si urlano contro, una delle soluzioni che adotto è: rifugiarmi nella stampa estera. All'estero il giudizio sulle cose italiane è, ovviamente, più freddo, obiettivo, anche distaccato. Se uno legge un po' di giornali stranieri, il ritratto non è certo l'agiografia di quello che ci raccontiamo in Italia in queste ore. Prendo tra tutti il New York Time (qui l'originale): "Per gli economisti, è stato l'uomo che ha contribuito a far crollare l'economia italiana". Mentre "il suo approccio alla vita pubblica spesso oltraggioso, deformante e personalmente sensazionale, che divenne noto come berlusconismo, lo ha reso il politico italiano più influente dai tempi di Mussolini. Ha trasformato il Paese e ha offerto un modello di leadership diverso, che avrebbe avuto echi in Donald J. Trump e oltre". La toccano piano. In Francia lo definiscono "primo populista d'Europa". Per gli spagnoli, invece, Berlusconi "rappresenta il trionfo del populismo messianico”.
Il fatto è che chi non è italiano non può capire cosa abbia rappresentato Berlusconi. Lo sappiamo solo noi, per fortuna o per disgrazia. Io da parte mia aggiungo che è stato il più grande datore di lavoro della sinistra in Italia. Sia perchè, per decenni, l'antiberlusconismo è stata la ragione d'essere di molte coalizioni di centrosinistra, altrimenti senza nulla in comune. Sia perchè, lui dava materialmente da lavorare alla sinistra. Erano pagati da lui i registi che giravano i film d'autore sulla "condizione dell'Italia berlusconiana". Suoi gli autori dei programmi satirici contro il "regime" da lui rappresentato. Pubblicavano con lui i leader del centrosinistra in questi illeggibili libri - manifesto su come cambiare il Paese alla vigilia delle elezioni. Dava argomenti a mezza stampa che gli era contraria, l'altra metà era sua. Tutto suo. Tutti a busta paga, e quindi fermi al "vorrei ma non posso". Ieri come oggi, che vi pare.
Oggi, intanto, è lutto nazionale. Neanche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno avuto questo onore.
Per che cosa, questo lutto "nazionale"?
Per il modo in cui ha utilizzato il potere pubblico per perseguire i propri interessi?
Per il modo in cui ha creato un monopolio televisivo?
Per la tessera della P2?
Per la sua continua delegittimazione della giustizia?
Per la contiguità di pezzi del suo partito con il sistema clientelare e criminale del sud Italia?
Per Marcello Dell'Utri?
Per il G8 di Genova e il povero Carlo Giuliani?
Per i soldi dati alla mafia per avere "protezione"?
Per l'idea assolutamente retrograda e sessista della donna e del suo corpo?
Per aver fatto votare alla Camera dei deputati della Repubblica italiana una mozione nella quale si sosteneva che Ruby fosse la nipote di Mubarak?
Per le cene eleganti?
Per Noemi e le altre?
Per lo smantellamento della scuola pubblica?
Per aver sdoganato, dandogli legittimità, i post fascisti?
Per la legge Bossi - Fini?
Per aver portato al governo i secessionisti?
Per le frodi fiscali?
Per cosa, mi chiedo. Per cosa?
Eppure lunedì, alla notizia, ho pianto. Sono di pianto facile, per ora, eh, sarà l'andropausa. Ma ho pianto, mi sono emozionato.
E ho avvertito un dolore.
Si, un dolore.
Un dolore per una vita che se ne va, certo. Ma anche qualcos'altro.
Ecco, il dolore per me, per i miei vent'anni, e per gli altri venti dopo. Silvio Berlusconi, tu sei morto, ma io ormai sono vecchio, e morirò anch'io, un giorno, non sapendo cosa sarebbe stato vivere in un Paese diverso, non dico normale, ma un po' più uguale agli altri.
Si. Un dolore per me, che volevo dare un senso al mondo, capirlo, farci pace. E ho rinunciato. E per questo Paese. Un lutto nazionale. Per quella cosa che dicevano Gaber e Luporini: "Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me". Ed è un dolore che è il dolore del tempo perduto, ma è anche la consapevolezza che Berlusconi è immortale, perchè vive in ognuno di noi, ha formato lo spirito e la testa degli italiani di questo tempo. E' il paradigma della nostra società, di noi italiani sospesi tra furbizia e libidine. Non è il lutto di Stato. E' il lutto di un Paese che non è stato, per tutti i cortigiani, per coloro che potevano costruire qualcosa di diverso e non l'hanno fatto, per quelli che sono stati i suoi alleati fingendo di essergli contro, per tutte le furbizie che abbiamo elevato a sistema, per tutte le volte che abbiamo cercato di essere diversi, e ci siamo accorti di essere sempre più come lui.
Giacomo Di Girolamo