Che dimensione diamo al tempo? La domanda non vuole dare una risposta ai massimi sistemi, ma magari provare a segnare un perimetro a quanto oggi vediamo attorno a noi.
Conversazione della scorsa settimana con mio nipote: “zio c’è una partita in tv stasera. Bello dai - dico io - la vediamo insieme. No no chi ha tempo, poi mi vedo gli highlights” (che è come dire faccio un sunto di tre Cantiche della Divina Commedia tramite il Bignami - che tante generazioni salvò da insufficienza sicura a possibile interrogazione - e poi averne un’idea vaga del pensiero del Poeta).
Curioso di natura e dopo la partita me ne vedo uno e di fatto è altro rispetto a quanto avevo visto per ’90 minuti, ma forse questa generazione che non ha mai tempo e non si comprende il perché, riduce anche una cosa bella che è un gioco (calcio o altro poco importa) ad un qualcosa da bruciare nell’arco di 90 secondi al massimo: consiglio vivamente la lettura di una autore argentino che amo da sempre - Osvaldo Soriano - che fece della letteratura sportiva metafora della vita.
Tik tok di questi tempi ne è plastica esemplificazione e di questo passo forse si viaggia così veloci che a breve sarà superato da se stesso, per destinazione ignota.
Il tempo ha una sua scansione, dimensione sapore anche ma forse tutto ciò è desueto a chi di questo non ha idea su come impiegarlo se non ridurlo a frammenti sempre più veloci e da consumo di pochi secondi. Non demonizzo affatto un social o ottimizzare un tempo, i primi consentono se utilizzati con ratio una forma di comunicazione rapida e efficace, quanto ad ottimizzare credo sia il desiderio di molti finalizzare il tutto a vivere una porzione di vita diversa da impegni pressanti e costanti del quotidiano. Ma poi ascoltano i messaggi vocali di w’app al doppio della velocità e ti fai tante domande sulla reale esigenza, che di fatto non c’è.
E quindi tra il tentare di comprendere un fenomeno “normale” per chi ha molti anni meno di me, mi trovo venerdì con un mio amico a vivere una esperienza per certi versi speciale ovvero una giornata intera dedicata alla poesia - su vari livelli, con autori italiani e non e con una platea per lo più composta da ragazzi, quindi il mosaico è frammentato dalle mille sfaccettature e la piacevolezza della sorpresa passa anche da questa visione legata ad un vettore - la poesia - che è il governo della lingua, parafrasando Andrea Cortellessa, e dove un pubblico molto giovane trova riparo e urgenza a questi tempi inutilmente bruciati.
Nella prossima vita
avremo una casa: io e te.
Un orto, un giardino.
(Il fico nero, l’acero rosso.)
Mani nella terra, sul nostro
corpo. Dentro sarà il fuoco
di legna, il legno su cui
camminiamo. Bianco
ma non di smalto.
Nella vita che viene
avremo un bambino
ispido e nero
selvatico, ardente.
Non avremo paura.
Lasceremo la fine
agli altri. Inizieremo
(Paola Loreto)
Ma resta sempre il tarlo di un tempo che non c’è, in apparenza, o forse come impegnare uno spazio X per più di qualche minuto dedicando attenzione univoca. Scelgo i libri per motivi abbastanza singolari: l’odore, la carta, la copertina ma non sempre, la quarta con frasi che dovrebbero catturare il potenziale acquirente che sarei io e quindi: “io sono stata un po’ pazza. La mia pazzia è stata un trampolino per amare di più, per conoscere di più.
oppure
“tra il respiro e la parola c’è uno spazio. Un luogo impalpabile in cui abita la voce.”
e ancora
“fascismo_quel che è stato, quel che ne rimane”
E potrei andare avanti per un po’, e succede che dalla quarta poi il libro lo prendi dal verso giusto e lo fai tuo e a quel punto il tempo non è più una variabile ma uno spazio da abitare: dieci venti trenta pagine di giorno in giorno fino a finirlo. Se poi quelle pagine ti catturano, non vedi l’ora di stare con lui e quando ti rendi conto che le pagine si assottigliano rallenti la lettura, perché vorresti che quella dimensione quella magia che ci regala la parola scritta sia poesia saggio racconto o altro è un momento che non permette intrusi e interruzioni. E’ un tempo scandito dal piacere, come un bacio ricevuto un abbraccio desiderato. La narrazione di una partita di calcio - meglio se di rugby - ha una sua tessitura una densità dovuta ad una serie di indicazioni che dà l’allenatore durante la settimana, e quello a cui noi assistiamo allo stadio o sul divano è il susseguirsi di pagine e pagine di un racconto che difficilmente condensi in un metatempo.
La nostra vita non può essere il risvolto della terza di copertina di un libro, siamo una tela trama e ordito di un racconto che un libro una mostra uno spettacolo a teatro renderanno più ricchi, perché non c’è sviluppo senza cultura e senza di lei siamo delle piante senz’anima
“abbiamo intorno un mondo per salvarci, ma raramente di facciamo caso.”
Giuseppe Prode
p.s. leggere la poesia di Paola Loreto, scoperta per caso ieri è dare un tempo al tempo: la scansione, l’andare a capo e ritrovarsi ricchi dentro nel ricominciare