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14/04/2023 06:00:00

Laura Bonafede nei nascondigli di Messina Denaro, in contatto col boss dal 1996

 Matteo Messina Denaro era a Campobello di Mazara da almeno ventisei anni. Nessuna plastica facciale, niente barba o baffi finti. Andava in giro con il suo viso, che coloro che lo avevano conosciuto personalmente, avrebbero potuto identificare. Lo scrive il gip di Palermo Alfredo Montalto nell’ordinanza di custodia cautelare nei confronti della maestra Laura Bonafede, arrestata ieri.

La figlia del capomafia Leonardo (deceduto nel 2020) non si sarebbe vista col latitante di Castelvetrano soltanto quella volta, davanti il banco salumeria del supermercato, ma avrebbe anche abitato con lui sotto lo stesso tetto insieme alla figlia Martina (indagata nello stesso procedimento), in un rapporto stabile quasi “familiare” dal 2007 al dicembre 2017, quando in un mega blitz 200 poliziotti perquisirono 25 persone, sequestrando 25 fucili, una decina di pistole e 2 mila munizioni.

Il rapporto sarebbe ripreso una volta “calmatesi le acque” negli ultimi anni, sino all’arresto del boss, il 16 gennaio 2023.

 

Ma Laura Bonafede avrebbe conosciuto Matteo Messina Denaro già nel 1996, mentre era latitante insieme al padre Francesco. Una doppia latitanza curata proprio da Leonardo Bonafede, che aveva “concesso” alla figlia di far loro visita. Nel diario rinvenuto durante le perquisizioni si legge:

Mi fa piacere sentirti dire che non sono stato un errore, anzi tutt’altro. Si è quello che penso: sono e resterò solo (La Bonafede finge di essere un uomo ndr). Perché per te è stata una sorpresa? Non avevi capito? Ventisei anni fa ho chiesto di venirvi a trovare e mi è stato concesso… non c’era motivo di quella visita ma forse si doveva aprire un capitolo e così fu. Dici bene, abbiamo letto quello che era scritto. La vita è strana, fa dei giri incredibili e poi ti porta dove vuole lei. Noi possiamo solo farci trascinare”.

 

Dalle carte emerge anche che Laura Bonafede e Matteo Messina Denaro trascorrevano anche del tempo insieme, in un luogo indicato in codice come “il tugurio”.Stavamo bene in quel posto – scrive lei - si, ero felice di trascorrere quel tempo insieme, penso che lo sapevi che era così. Nel libro c’è un tratto segnato in cui Niño Bueno dice che il posto dove viveva era un tugurio ma per lui era una reggia perché lì aveva vissuto momenti felici. Credo sia stato segnato in riferimento al nostro tugurio”.

Gli inquirenti, durante la perquisizione a casa della Bonafede, troveranno il libro dove c’è il tratto segnato. È il romanzo di Mario Vargas Llosa, “Avventure della ragazza cattiva”.

Ma qual è la casa che Laura Bonafede e la figlia Martina Gentile dividevano con Messina Denaro? E dov’è questo “tugurio”? Insomma, i luoghi della latitanza del boss potrebbero essere stati tanti e alcuni sicuramente conosciuti dall’insegnante figlia del boss di Campobello, “Il fatto che sapevo dov’eri non potevi evitarlo comunque”.

 

Come è stato possibile che il latitante sia sfuggito a videocamere e microspie disseminate in ogni dove tra Castelvetrano e Campobello di Mazara? Come mai non è stato mai notato in nessun appostamento da parte di coloro che cercavano di catturarlo?

A questo proposito, le riflessioni del gip Montalto, in questa ordinanza di custodia cautelare, non possono che far riflettere.

Quel che disorienta – scrive il gip - è che in tutto questo lunghissimo arco temporale la tutela della latitanza di Messina Denaro è stata affidata, non a soggetti sconosciuti ed inimmaginabili bensì ad un soggetto conosciutissimo dalle forze dell’ordine e cioè a quel Leonardo Bonafede da sempre ben noto, oltre che come reggente della ‘famiglia’ mafiosa di Campobello di Mazara, soprattutto per la sua trascorsa frequentazione ed amicizia con il padre di Messina Denaro”.

 

Le indagini dei carabinieri del Ros “mettono in luce - scrive ancora il gip - l’incredibile ed inspiegabile insuccesso di anni ed anni di ricerche in quella ristretta cerchia territoriale compresa tra Castelvetrano e Campobello di Mazara, costantemente setacciata e controllata con i più sofisticati sistemi di intercettazioni e di videosorveglianza di tutti i luoghi strategici che, tuttavia, come oggi si è scoperto, non hanno impedito che il più ricercato latitante del mondo potesse condurre, in quegli stessi luoghi e per molti anni (almeno ventisei), una ‘normale’ esistenza senza neppure nascondersi troppo, ma anzi palesando a tutti il suo viso riconoscibile (almeno per i tantissimi che lo avevano conosciuto personalmente)”.

Come ciò sia potuto accadere, si ripete, appare al momento inspiegabile e non privo di conseguenze”.

 

Intanto, una settimana dopo l’arresto di Messina Denaro, il giornalista Gianfranco Criscenti aveva scritto su Facebook “Secondo voi, un poliziotto originario del Trapanese, trasferito a Roma e da anni in missione a Trapani per dare la caccia a Matteo Messina Denaro, percependo 180 euro (110 netti, ndr) al giorno di trasferta, quanta voglia aveva di arrestare il boss latitante?”.

Riflessioni che, in parte, potrebbero spiegare questo lunghissimo insuccesso trentennale nella cattura dell’ultimo corleonese. E se la caccia al boss fosse stata davvero una gallina dalle uova d’oro? Forse sarebbe ora di smetterla con la crocifissione dei cittadini campobellesi. Se gli investigatori non si sono accorti di quello che succedeva a pochi metri dai loro sofisticati strumenti d’indagine, è difficile pensare che avrebbero dovuto riuscirci i cittadini.

 

Egidio Morici



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