Purtroppo nessuno a scuola ci ha insegnato come gestire le emozioni, che poi, mi direte voi, le emozioni mica si gestiscono! Ed è vero. Solo lo stato d’animo si può gestire.
Qual è la differenza?
L’emozione è l’ondata che arriva, è la reazione a uno stimolo esterno o interno (un pensiero o un
ricordo) e quando arriva non ci puoi fare niente. Te la vivi, aspetti che l’ondata passi e poi puoi
applicare qualche strumento di gestione emotiva. L’emozione non dura molto: arriva, passa e se ne va.
Proprio come le onde.
Ed è assolutamente normale e comune, siamo esseri umani, non siamo ancora macchine (manca poco
comunque, niente panico).
Lo stato d’animo invece è l’emozione che si prolunga nel tempo, quella è una scelta che facciamo. Possiamo scegliere di cambiare stato d’animo quando l’emozione fluisce, o possiamo tenercelo per ore, giorni, settimane… Dopo che l’onda emotiva se n’è andata, allora possiamo scegliere.
Se proviamo ad aprirci a qualcuno durante un picco emotivo, cercheranno di dirci cosa dovremmo fare, come dovremmo sentirci, cosa dovremmo pensare, cosa dovremmo dire. Non lo fanno con intenzione, la verità è che amiamo gli altri con i nostri filtri, per come li vorremmo noi, e da questi filtri ci creiamo su di loro delle aspettative. Ci aspettiamo che si comportino come
faremmo noi.
Questo è mettere qualcuno in galera, in gabbia, con tanto di sbarre e carceriere, perché se non sei come ti voglio, non ti amo più.
Non stiamo vedendo l’altro così, stiamo vedendo solo noi stessi.
Le emozioni si vivono e si aspetta che passino. Hai mai provato a nuotare e cercare di contrastare
un’onda? Totalmente inutile direi, no? Anzi anche pericoloso. Da folli.
Ti metti lì, galleggi e la lasci passare. Quando è andata inizi a nuotare. Troppo spesso provare emozioni ci fa sentire sbagliati, inadeguati, pieni di vergogna. Abbiamo davvero bisogno di uno spazio di ascolto, di accoglienza, un porto sicuro in cui sostare un attimo quando ci sentiamo fragili e spaesati. E questo non può essere qualcuno che con le proprie emozioni fa fatica a
entrare in contatto.
Ti faresti mai fare un’operazione a cuore aperto a casa da un parente? Solo perché ti dice che tiene al tuo cuore e vuole che tu guarisca? Per questo esistono le professioni di relazione di aiuto. Anche le emozioni (soprattutto le emozioni!)
vanno trattate con sapienza, conoscenza, attenzione ed estrema riservatezza.
Non possiamo aspettarci che gli altri e la famiglia siano terapeutici, non è giusto e non è il loro compito, è un peso troppo grande che li farà sentire inadeguati e impotenti. Se diamo spazio a come ci sentiamo, entriamo in contatto con noi stessi, recuperiamo le risposte alle domande: “chi sono?”, “cosa è importante per me?”, “cosa voglio?”, “dove voglio andare?”. Se impariamo a non averne paura, diventano la nostra più grande forza.
Maria Giovanna Trapani