"Questa è la difesa di Alessandro Manuguerra e non di Luigi Manuguerra". Ha esordito così l'avvocato Fabio Sammartano,ieri mattina, nella sua arringa al processo Scrigno che si celebra innanzi al tribunale di Trapani e giunto ormai alle battute conclusive. La sentenza è prevista per il sei aprile. Luigi Manuguerra, conosciuto come “il mago”, scomparso prematuramente, era il padre di Alessandro imputato nel procedimento scaturito dall'operazione antimafia incentrata sugli intrecci tra mafia, politica e imprenditoria. "Il Pm - ha subito aggiunto Sammartano - ha costruito la sua requisitoria esclusivamente sulle condotte tenute nel 2017 da Luigi Manuguerra. Condotte, però, di cui non può essere responsabile Alessandro Manuguerra che all' epoca dei fatti aveva 20 anni, che così, anzi, è stato danneggiato dal padre. Ecco perchè Alessandro è coinvolto in questo processo”.
Secondo l' accusa, Luigi Manuguerra avrebbe chiesto l' aiuto della famiglia mafiosa di Trapani per fare avere voti al figlio candidato, all'epoca dei fatti, al Consiglio comunale di Erice. L'avvocato Sammartano, però, evidenzia una contraddizione: " Luigi Manuguerra avrebbe chiesto i voti per il figlio e non anche per la compagna, Cettina Moltanto, che allora era candidata sindaco di Erice in contrapposizione, tra gli altri, a Daniela Toscano poi risultata eletta. Mi sembra una incongruenza priva di logica”.
Sulla intercettazione che secondo il Pm inchioderebbe Alessandro Manuguerra, l' avvocato ha detto: " Contiene elementi sintetici, è disturbata dal traffico e dal vento e la trascrizione è di poche pagine". Il riferimento è alla cimice installata dalla Digos nel 2017 in un palo della luce collocato davanti al comitato elettorale dei Manuguerra. Padre e figlio parlano sul marciapiedi. "Facciamolo”, dice Alessandro. Per l' accusa quel "facciamolo" è rivolto all' assegno per avere i voti mafiosi. Invece, per la difesa quella frase è la chiara volontà di Alessandro di denunciare alla polizia i presunti illeciti recepiti da ambienti malavitosi a vantaggio di altri candidati. E a sostegno della tesi difensiva c'è la dichiarazione resa, in dibattimento, dal tenente Vito Cito: “A noi carabinieri non risulta un sostegno elettorale dei Virga ai Manuguerra”.
“I Manuguerra - ha poi ricordato l'avvocato Sammartano – che in quel periodo si recavano con cadenza quotidiana in questura per rendere dichiarazione spontanee agli investigatori”. Il progetto di Luigi Manuguerra era chiaro: tendere una trappola al clan per provocare uno scandalo giudiziario per estromettere, in particolare Franco Orlando e i fratelli Virga dalla “caccia al voto”.
Infatti, ha puntualizzato Sammartano “Alessandro Manuguerra non hai mai parlato con Franco Orlando, ma al bar di proprietà di quest'ultimo si recava per incontrare la figlia Samantha con cui era legato da rapporti d'amicizia".
A conclusione della sua arringa, il legale ha chiesto l" assoluzione perchè il fatto non sussiste, ovvero perchè non costituisce reato” per il suo assistito e il “rigetto delle domande di condanna avanzate dalle difese delle parti civile”. Tra le parti civile, il Comune di Erice ha avanzato una richiesta di risarcimento per un milione e mezzo di euro a titolo di “danni d'immagine”.
A chiedere l'assoluzione per un altro imputato, l'architetto Vito Mannina, è stato l'avvocato Salvatore Alagna. “A salvare il mio assistito – ha detto durante la sua arringa – sono le intercettazioni che dimostrano che Mannina non ha stretto alcun patto con l'organizzazione mafiosa e non ha elargito denaro a Pietro Cusenza – già condannato nel processo Scrigno celebrato con il rito abbreviato dinnanzi al Gup di Palermo - per avere voti dal sodalizio”. Emergerebbe dall'incontro avuto con Franco Virga nel locale Scrigno con quest'ultimo che gli promette “non più di 10-12 consensi per la figlia Simona candidata al Consiglio comunale di Erice”, senza chiedere nulla in cambio e senza ottenere alcuna promessa dallo stesso Mannina.
Tra i due c'era “soltanto una conoscenza” in quanto Virga si recava alla Motorizzazione civile, dove Mannina era funzionario, per espletare pratiche relative ai mezzi della società di autolinee.
Mannina, inoltre, “non era a conoscenza dell'organicità di Pietro Cusenza al sodalizio. Tra Mannina e Cusenza c'era un rapporto di vecchia data in quanto quest'ultimo lo aveva sostenuto in diverse competizioni politiche. Ecco perchè Mannina paga a Cusenza, in difficoltà economiche, “le imposte per la successione”.
Inoltre, Mannina diceva sempre “che non aveva soldi per la campagna elettorale”.