Non è ormai una novità che, soprattutto nello sport, il coaching sta diventando strumento indispensabile per gestire una performance al top.
Il coaching infatti fornisce strumenti estremamente efficaci e immediati per gestire le emozioni, fare un cambio di stato d’animo, di dialogo interno (che è artefice di tutti gli stati d’animo), di focus.
L’allenamento mentale non può più essere escluso dalle discipline sportive.
Un bravo coach si assicura anche di fare un lavoro più in profondità sull’atleta, di esplorare cioè credenze limitanti per trasformarle in potenzianti, conflitti di valori che generano dei blocchi, creare una persona consapevole, che sa cosa sta facendo e dove vuole davvero andare.
Troppo spesso lo sport è un ambito in cui si pretendono risultati a costi insostenibili in termini di benessere psicofisico e di serenità.
Mi trovo molto spesso a lavorare con stati d’ansia a diversi livelli, malessere dovuto a forti pressioni esterne e familiari.
Mai quanto nello sport si rischia di diventare dei numeri: sono il numero sulla bilancia, sono la percentuale di grasso o di massa magra, sono i secondi della mia perfomance, sono un numero sul cronometro, sono un numero di maglia, sono il numero di miei centimetri di vita, fianchi o di altezza.
Tutto questo non è solo stressante, può facilmente generare nevrosi patologiche e disturbi alimentari o di personalità.
Perché si ricerca la massima prestazione con strumenti disfunzionali.
La gara deve essere la conseguenza di un percorso, fatto nel rispetto dell’atleta innanzitutto come persona. Perché spesso lo sport diventa meritocratico rispetto ai risultati, penalizzante per l’atleta come persona.
Se vinco le gare ma mi comporto male con allenatore e compagni o se sono insoddisfatto e infelice, mi spiegate a cosa vale quel risultato?
Per non parlare di quando un atleta finalmente raggiunge un obiettivo e non prova nemmeno soddisfazione quasi, perché ne ha già un altro in mente e per cui è già pronto a ricominciare tutto daccapo. Che va benissimo, anzi, ma consumare, bruciare obiettivi così, uno dopo l’altro, a sua volta consuma e rende perennemente insoddisfatti, perché non c’è nulla che basti mai. Ci sarà sempre un obiettivo più grande da raggiungere.
La spinta a migliorarsi sempre è sana e imprescindibile, altro è non essere mai soddisfatti di se stessi. Questo non genera gioia, entusiasmo e realizzazione, solo un grande vuoto che divora.
Le gare si devono vincere col sorriso.
E il modo c’è. E non sto parlando di disciplina comunemente intesa o di forza di volontà, la famosissima forza di volontà.
Il lavoro che va fatto è di riprogrammazione dell’inconscio, in modo che, anziché creare blocchi e sabotaggi per tutti dei motivi suoi molto validi peraltro, ci sostenga nella direzione in cui desideriamo andare, ci accompagni e ci dia la spinta.
Motivare l’inconscio (che ha tutto un suo linguaggio) a motivarci.
Solo così si raggiungono dei risultati senza massacrarsi di fatica fine a se stessa e con sforzi disumani, ma con leggerezza, serenità, impegno e soddisfazione.
Maria Giovanna Trapani