E’ quella cosa strana che ti fa tornare in mente cose belle e meno; è quella cosa che senza di lei non avremmo futuro consapevole o auspicabile come tale.
E’ quella cosa che grazie ad un’artista_ Gunter Demnig_ ha fatto di una pietra di inciampo installazione d’arte e obbliga camminando per le strade a fermarci e a leggere quell’orrore, di fronte ad un portone.
E’ quella cosa, la memoria, che molti accendono a comando e diventa esercizio di stile, ovvero retorico e svuotato di ogni significato.
Il 27 gennaio giornata internazionale della Memoria per le vittime dell’Olocausto, e per caso venerdì sera ho ascoltato un concerto dell’orchestra sinfonica della Rai di Torino_ e nel programma in scaletta, sette minuti di “Un sopravvissuto di Varsavia” di Arnold Schönberg: ascoltate questa testimonianza e vi perderete in un labirinto di orrore qual è stato quel tempo, che oggi giustamente noi onoriamo in ogni forma.
La memoria l’ho vissuta nel mio Liceo (era il 1979), dopo pochi giorni la mia classe fu portata davanti ad un busto in bronzo e ci raccontarono una storia: un professore del Liceo Umberto I, Pilo Albertelli, fu arrestato durante l’ora di lezione da agenti dell’OVRA - all’indomani di Via Rasella - portato a Via Tasso torturato e poi per ultimare il numero utile (secondo Kappler) ucciso alle Fosse Ardeatine.
All’indomani della fine guerra, quel Liceo fu intitolato al Professore che difese idee e ideali, e ringrazio ancora quei professori che mi regalarono una lezione di educazione civica che mi porto dentro, e sopratutto ci resero partecipi tutti noi ragazzi di un processo condiviso con il ricordare un tempo orribile, affinché non si ripetesse mai più.
Quando vedo inneggiare con croci celtiche, svastiche o come è accaduto qualche tempo addietro a Marsala sporcare muri con questi segni ignobili, spaccare lapidi in memoria di partigiane mi rendo conto che quel filo che è la Memoria deve essere perpetuato e raccontato. Qualcuno è mai stato in visita in un campo di concentramento? Impossibile raccontare cosa sia, si deve andare e lì non esiste colore politico per discutere e fare distinguo (anche se da noi la destra ci ha messo troppo tempo ad ammettere pubblicamente che quella cosa lì fu il male assoluto) lì c’è solo la follia resa sistema.
La lettura della memoria di un processo scritto da Hannah Arnendt, La banalità del male, porta il ragionamento di uno sterminio a pratica da ufficio, a calcoli da ragionieri per ottimizzare al massimo un processo ma si parlava di bambini donne uomini e questa ferita non possiamo tollerarla più.
Non sono d’accordo con la Senatrice Liliana Segre che queste storie tra qualche anno saranno solo poche righe sui libri “perché la gente si è stancata di sentire parlare di ebrei e olocausto”, no Senatrice abbiamo la necessità costante e continua di memoria. Noi in Sicilia siamo la terra del paradosso per molti versi, eppure se oggi viviamo un tempo diverso è perché dopo lo spartiacque del 1992 una società intera decise che si doveva lavorare a rifondare una comunità e dove la memoria entrava a pieno titolo nei programmi a scuola, e pur tra molte ridondanze oggi abbiamo le nuove leve che ontologicamente hanno preso distanze siderali da quel mondo di contiguità in cui mafia e società civile vivevano di fatto a stretto gomito.
Ci emozioniamo davanti a Guernica di Picasso? Quasi sette metri di violenza con colori lividi che raccontano una storia. Ascoltate quei sette minuti di Arnold Schönberg mentre vi leggerete queste righe, trasuda storia di una cultura negata.
L’Arte ci salverà a patto che si sia in grado di comprenderla e questo lo possiamo ottenere avendo nella giusta considerazione la Cultura e il sapere: andremmo in debito di ossigeno senza di lei e non mi stancherò mai di ribadire che non potrà mai esserci sviluppo sociale e culturale per una Comunità, se non con una ferma costanza del fare.
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