Pelè, Westwood e non solo, quella generazione di fenomeni
Ho sempre dormito poco fin da ragazzo, oggi poi non ho idea se sia l’età o per restare fedele alle mie poche ore mi sveglio molto presto e le nuove - nella rassegna stampa in radio - le apprendo sul fare dell’alba.
Sono andato a letto con la morte di O Rey_Pelé_ il mito il sogno di bambini come me di inizio anni ’70 ma di fatto non l’ho visto mai giocare. Il Mondiale in Messico chiuse la sua carriera vera, ancora qualcosa nel Cosmos di New York e poi visse giustamente della sua fama enorme. Testimonial mondiale del calcio, ricordo di una sua acrobazia dove la legge di gravità per lui non esisteva, replicata poi in un film Fuga per la vittoria ( di John Huston del 1981). Genio assoluto con la palla tra i piedi, Gianni Brera gli dedicò un poema lirico, il piacere oggi a rileggerlo quello scritto in versi pari a rivedere quel ragazzo giocare
1974 Londra, la scusa era studiare inglese ma tornai con un forte accento genovese: per un mese vissi con un bambino in una casa io e lui, e questo parlava quasi esclusivamente il dialetto della Superba. Ci divertimmo come matti tra abitare una casa da soli, le lezioni al college e quella Londra diversa agli occhi di uno che si guadagnava la sua autonomia in una città che iniziava a liberarsi dalle convenzioni; e l’Italia non brillava per eccentricità sul lato moda e non solo, dietro l’angolo l’inizio della lotta armata - il ricordo che ho di quel periodo, era di una Roma buia, senza colori e presto a casa la sera. Capii poi il perché .
Londra era musica colore follia mods e skinheads, minigonne pazzesche su ragazze che a me sembravano altissime (io ero molto basso) e quei vestiti apertamente erano un manifesto di libertà assoluta dentro una società rigida che viveva di fatto di regole ottocentesche: e tra un cambio della guardia a Buckingham Palace e Carnaby street non chiedetevi cosa potevo preferire. Questa l’aria che respirava Vivienne Westwood con il suo essere irriverente fino alla fine, dissacrante e coerente nel suo fare arte ovvero moda, anche con la Corona e la Regina Elisabetta col tempo riconobbe il talento il genio dell’artista (sempre con riferimento al calcio, George Best - il quinto Beatles, poteva fare da contraltare).
L’Europa era grigia- scegliete voi il pantone come scala colore - eppure i segni arrivavano.
Erano anni di cambiamento, il ’68 aveva di fatto aperto il vaso di Pandora e niente fu più come prima. Daniel Cohn Bendit in testa ai cortei a Parigi, la svolta - pagine meravigliose fotografiche (la ragazza in minigonna alla Brasserie Lipp di Henri Cartier-Bresson, era un manifesto) lo raccontano e di fatto il mondo cambiò e la rivoluzione dolce morbida fu un calcio moderno - e Pelé e molti altri ne furono l’incarnazione - lui vinse tre mondiali dal 1958 al 1970, in mezzo un’era geologica… - la gioventù di allora che dissentiva con una gonna con un pantalone e la Westwood in quella Londra era tutto questo. Un modo di pensare che prendeva piede in modo neanche tanto carsico, in una cronaca quotidiana dove il Vietnam entrava nella fase più cruenta, dove la Guerra Fredda ovvero i due blocchi est ovest segnarono intere generazioni (il Muro di Berlino cadde nel 1989).
Eravamo senza saperlo dentro un villaggio globale, con mezzi di comunicazione spuntati - visti oggi - eppure si comunicava con gesti e persone che hanno fatto la differenza. In quella Londra, i Rolling Stones non riuscivano a farsi pubblicare Street fighting man
(Sento ovunque il suono della marcia, piedi carichi, ragazzo
Perché l'estate è qui e il momento è giusto per combattere in strada, ragazzo
Ma cosa può fare un povero ragazzo
Se non cantare per una band rock and roll
Perché nella sonnolenta città di Londra
Non c'è proprio nessun posto per un lottatore di strada)
C’era l’apartheid (!) dalla civile società americana al Sud Africa e il pugno guantato di nero di Tommie Smith e John Carlos fu un segno potente alla premiazione per i 200 metri alle Olimpiadi di Città del Messico: quella fotografia fece il giro del mondo, piccoli segni.
Oggi non riusciamo a dare un senso pieno e una misura alle cose che poi hanno dettato questo cambiamento questa strada senza ritorno, eppure tutto ciò è passato anche da un rettangolo di gioco, da una pezza disegnata e tagliata in modo diverso e dove un pensiero forte era fondamenta di tutto.
Mai per caso, questo ha un tempo corto e quel mondo aveva la necessità come l’aria di ossigeno nuovo nelle sue varie pieghe.
Oggi, dopo mezzo secolo viviamo un tempo diverso e rendiamo omaggio ad una Generazione di fenomeni, ad un calciatore che ha fatto la storia, ad una stilista che ha sottolineato la necessità di un voltare pagina con ago filo e la creatività in cima a tutto, e questo non dovremmo dimenticarlo nel flusso costante di cambiamenti oggi.
giuseppe prode
p.s. sempre in quella rassegna stampa dell’alba, Giovanni Pezzoli _ batterista degli Stadio, ha riposto le sue bacchette. Giri strani di memoria, e cerco tra i 33 giri che ho ancora e lo trovo: Banana Republic Dalla-De Gregori 1979, tra i musicisti di quel tour straordinario lui alla batteria insieme ad altri che poi saranno gli Stadio. Ecco, la colonna sonora di queste righe, insieme ad un buon inizio 2023, può essere questa versione diversa di Chiedi chi erano i Beatles degli Stadio
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