No, non è stato un anno facile, è quasi banale dirlo. Il mondo è complicato, maledettamente complicato. Non bastasse la pandemia, abbiamo anche la guerra, e la crisi economica, e le persone continuano a morire nel Mediterraneo nell'indifferenza dei governi, e crescono i segnali del disastro climatico. Anche la Rete, nata con la promessa di portare democrazia e libertà, sta invece andando verso una dimensione oscura. Più di 500 manifestanti sono stati uccisi dal regime in Iran, e pure i Mondiali di Calcio, in Qatar, sono stati carichi di polemiche e hanno marcato come non mai la divisione tra poveri e ricchi nel mondo.
E' tutto cupo.
Addobbare l'albero, preparare il presepe, sono gesti di resistenza umana, un tentativo di piccola normalità domestica, di resistenza nel naufragio collettivo.
L'invenzione del presepe si deve a San Francesco. Negli ultimi anni della sua vita, Francesco fuggiva la compagnia dei suoi confratelli. Ritrovava un po’ di serenità soltanto fra la gente povera e semplice. E fu proprio nel borgo di Greccio, in provincia di Rieti, popolato da pastori e contadini - che, nel dicembre del 1223, chiese ad un sacerdote di celebrare la messa di Natale all’aperto, davanti ad una mangiatoia piena di fieno, alla presenza di un bue e di un asino. Ecco a voi il presepe. Che ha un significato politico, che vi pare. Appena due anni prima, nell’agosto 1221, la quarta crociata si era conclusa con la disfatta dei cristiani. Francesco volle far capire che non era necessario andare fino in Terra Santa per trovare Cristo, né massacrare e rapinare. Betlemme era dovunque, anche a Greccio: i cristiani dovevano ritrovare Betlemme dentro il loro cuore, cioè quel messaggio di amore e di pace che avevano dimenticato.
C'è qualcosa di falso nei nostri presepi: i personaggi panciuti, i volti sorridenti, le case accoglienti, i focolari e le cascatelle. Il presepe è miseria, fango e terra polverosa. Il presepe è fame, è un bimbo che nasce in una baracca da due genitori respinti. Oggi sembra che Gesù sia nato nella clubhouse di un campo da golf, durante un happy hour, oppure a Malpensa, con tutte quelle lucine che trasformano Betlemme in una pista di atterraggio.
E' un racconto falso, che facciamo, di quella notte. Se vogliamo riscoprirne un po' lo spirito c'è uno straordinario romanzo corale, "Una notte", di Giosué Calaciura, pubblicato da Sellerio, che ci ridà il senso di quell'evento, duemilaventidue anni fa circa.
Mi piacciono i presepi polverosi e precari, scarni, quasi apocalittici nel loro scenario di cartapesta.
Apocalittica è anche l'ambientazione di uno dei mie romanzi preferiti, "La strada" di Cormarc McCarthy. E' un luogo oscuro, perduto, che “non si può riaggiustare”.
Al centro della storia ci sono un padre e un figlio, che vagano tra boschi bruciati e case depredate, cercando di sopravvivere.
Loro “portano il fuoco”, e a questa idea si aggrappano nel tentativo di salvarsi.
Tutt’intorno però la desolazione sembra soverchiarli, schiacciati sotto a un cielo nero senza un orizzonte: “Non c'è nessun Dio e noi siamo i suoi profeti”.
Eppure, nonostante tutto, ci sono tanti, come noi, che "portano il fuoco" , che sanno scegliere in che direzione andare, quale sentiero percorrere. Schierarsi. Combattendo l’idea che ciò che oggi è non possa cambiare mai.
“Mai è un sacco di tempo” scrive McCarthy. E le cose cambiano, se davvero lo vogliamo.
Come diceva Piero Angela: "Il futuro non esiste, non è scritto da nessuna parte. Lo prepariamo e lo decidiamo noi con le nostre scelte".
Buon Natale dalla redazione di Tp24.
Giacomo Di Girolamo