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11/12/2022 06:00:00

Salemi. I racconti nel Baule di Rosanna Sanfilippo

Il Baule della speranza” ci pare essere il libro piu’ maturo e sofferto tra quelli scritti da Rosanna Sanfilippo.

Una raccolta di venti racconti tutti rigorosamente in bianco e nero, come i tempi che evoca e che ricordano il neorealismo del secondo dopoguerra.

Le rare pennellate di colore il rosso rubino del sangue e il rosso cremisi dei papaveri che chiazzano i campi di grano a primavera.

Rispettivamente simboli dell’oppressione della mafia nei feudi e delle lotte dei contadini per il riscatto da secoli sfruttamento bestiale.

Racconti, anche quelli ironici, dove anche i raggi del sole raramente riescono riscaldare uomini e cose.

Paesaggi che solo in poche occasioni coincidono con gli stereotipi che vorrebbero una terra siciliana perennemente riarsa dal sole agostano.

Domina invece la percezione di un paesaggio brullo con cieli nuvolosi da cui precipita una sottile e silenziosa pioggia ( “assuppa viddanu”) su uomini e animali, sferzati da una gelida tramontana che penetra le ossa.

Tutto intorno il marrone bruciato dei terreni appena arati mette in risalto la figura di uomo ammantato dal suo umido pastrano, a dorso di un mulo, che sì inerpicava lungo tortuosi e bianchi viottoli (trazzere) per il rientro del sabato sera in paese.

Mentre leggi questi racconti credi di fare parte anche tu dello stuolo di persone che all’alba sono in attesa di salire su un treno che li porti su al Nord.

Hai persino la sensazione di sentire il lacerante fischio della locomotiva che annuncia il suo arrivo in stazione e pare che invochi una spinta per terminare l’ultimo tratto di salita venendo da Castelvetrano.

Penetra nelle viscere quel fischio, un grido di dolore di chi ha accettato dalla Prefettura, dopo il terremoto del ’68, le poche diecine di migliaia di lire per lasciare alle spalle la miseria.

A molti di loro il destino riserverà di andare a dormire in altre baracche o nei sottoscala.

E’ vero. La primavera, il paesaggio siciliano tinteggiato di rosso o di giallo, vi vengono descritti, ma sempre come ricordo del passato, dei giorni dell’infanzia, in cui il vento non era mai freddo, ma un dolce zefiro o un caldo e ruvido scirocco estivo.

Così anche i cieli limpidi dell’Isola appartengono ad un passato trasfigurato visto attraverso la lente della nostalgia di tempi che, ahimè, mai piu’ potranno ritornare.

Se nel presente esistono, e’ solo nell’azzurro infinito degli occhi della donna amata da uno dei personaggi. Un passaggio emblematico che svela la poetica dell’autrice.

E lo stesso personaggio che quando trova la donna, anche se non siciliana, e’ “riservata” come le donne di Sicilia.

Poco conta se nel frattempo anche in Sicilia le donne sono sulla via di acquisire consapevolezza e sanno che per essere accettate dall’uomo non debbono essere a immagine e somiglianza della madre dello sposo.

Ma il giovane sessantottino emigrato nella città della Fiat (sulla scia del nonno che 70 anni prima, aveva varcato l’Atlantico per raggiungere la Statua della Liberta’ ai cui piedi sarebbe stato per 45 giorni in quarantena) e’ convinto che alla madre piacerà di sicuro. E quindi la sposa. E quando la donna gli da’il primo figlio, vorrebbe che smettesse di lavorare. Non si fa cosi in Sicilia?

Non sa, Pietro (e’ questo il suo nome) che anche in Sicilia, stanno cambiando e che la donna sta conquistando il posto che le compete. Individuo e non un oggetto posseduto dal maschio.

Ma il boom economico, l’avvio del consumismo, le conquiste civili avute grazie ai sindacati hanno cambiano il giovane emigrato solo in superficie. Nel suo profondo e’ rimasto legato da un cordone ombelicale ad antichi usi e rituali.

E non sa che anche in Sicilia le cose sono cambiate. Non sa, ad esempio, che una ragazza di Alcamo ha rifiutato persino il famigerato matrimonio riparatore.

Per Pietro, non sono bastati le lotte operaie, l’adesione al sindacato e al partito dei lavoratori a cancellare in lui i vincoli di un passato che, seppur costellati di episodi dolorosi e luttuosi, ha sempre vagheggiato come un mondo tra i migliori.

Seppur lontano, anzi forse a causa della lontananza, si fa sempre più forte in lui la convinzione che quel mondo sia esistito davvero.

Affiora impetuoso l’eterno mito di Edipo, fino a diventare ossessivo.

Complice la mancata riconciliazione con il padre, a dominare resta la figura materna, rassicurante e conservatrice.

E’ la metafora universale dell’Uomo del Sud a cui non sfugge nemmeno Pietro, il protagonista del lungo racconto “Noi, povera gente del Su”.

Lui non sa che a dominare prepotentemente la sua esistenza c’e’ la figura della Madre.

Da quella prosaica dei fornelli che preparava i “maccarruna bussati” con lo stufato di maiale fatto con salsa e “strattu” di pomodoro in cui sobillavano assieme alle costine l’immancabile cotenna.

A quella misticheggiante in quanto custode e protettrice dei segreti della famiglia. Come la Madonnina, che portava in spalla il giorno dell’Immacolata.

Per Pietro non può esserci posto per altre donne.

E infatti lascerà la moglie che, correttamente, non vuole abbandonare il lavoro in nome della sua autodeterminazione.

Ritornerà nel suo borgo natio. Ritornerà a vivere sotto il tetto dove e’ nato. Ritroverà il calore e la protezione sotto le ali della Madre.

Rifiuta la Storia per reimmergersi nel liquido amniotico materno, per rifugiarsi nell’Illusione del Mito.

La scrittura di Rosanna Sanfilippo e’ attraversata da questo filo rosso. Il suo e’ un anelito verso valori assoluti che sarebbero stati predominanti in un passato ideale. Ci sembra di poter dire che la sua testimonianza di scrittrice si innesca perfettamente nel solco di gran parte della cultura della città di Salemi.

Espressa da gran parte dei suoi intellettuali che non riescono ( o non vogliono) a liberarsi da quel peccato originale che li porta a non sapere sradicare la pianta dello scetticismo per un futuro diverso e migliore preferendo coltivare il giardino delle delusioni ereditate dagli “Illusi” di Alessandro Catania, il capostipite.

 

Franco Ciro Lo Re

 



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