Aveva 30 telefoni cellulari, gestiva il traffico di droga seguendo un preciso modello imprenditoriale.
Il suo magazzino nel quartiere di Mazara 2 era gestito come un negozio, “dipendenti”, orari di chiusura, fornitori. Le sue dichiarazioni dei redditi erano pari a zero, ma nonostante questo con i soldi della droga era riuscito a comprare un peschereccio da 220 mila euro. Gli inquirenti avevano messo gli occhi su Salvatore Addolorato, classe 76, già da diverso tempo. E proprio da lui parte l’inchiesta denominata “Sugar”, condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dalla DDA di Palermo, che sgominato una vasta rete di traffico di droga a Mazara del Vallo. Sono 21 le misure cautelari emesse dal Gip su richiesta della Procura. Qui i nomi di tutti gli indagati.
Come abbiamo raccontato ieri le piazze di spaccio erano due.
A capo di uno dei due gruppi ci sarebbe stata una donna, Rachela Maria Addolorato, 47 anni. Ma tutto parte dal cugino, Salvatore Addolorato.
L’uomo dai 30 telefoni
Addolorato è una vecchia conoscenza delle forze dell’ordine. Secondo quanto emerge dalle indagini è lui il “promotore”, coordinatore e finanziatore di una delle due piazze di spaccio scoperte. Gestiva e impartiva indicazioni. Sarebbe stato a capo di un gruppo di spacciatori molto attivi in città. Alle sue dipendenze ci sarebbero stati Addolorato Mario Carmelo, Addolorato Francesco, Addolorato Gianluca, Barbera Francesca Nadia, Addolorato Giuseppe, Addolorato Diego, Peraino Cristian Vito, Salerno Alex, Cannavò Piero, Mihaescu Stefan Daniel, Accardi Alessandro, Culicchia Roberto, Addolorato Rachela Maria, Addolorato Salvatore (cl. '95) e Alfano Michele, i quali svolgevano in via continuativa attività organizzata di spaccio nei confronti di una serie indefinita di consumatori, nella zona di Mazara del Vallo. Per mantenere efficace ed attiva la fitta rete di relazioni (telefoniche) con gli altri sodali, fosse stato infatti in grado di utilizzare almeno 30 dispositivi telefonici diversi.
Il magazzino
Il quartier generale di Salvatore Addolorato era un magazzino nei pressi della sua abitazione dove realizza opere murarie di tramezzatura, con la creazione di stanze e servizi igienici, in assenza di qualsiasi autorizzazione edilizia o concessione edilizia. Una centrale di spaccio che gestiva in modo imprenditoriale. Era infatti il punto di riferimento per spacciatori e pusher, tant’è che Addolorato ne controllava i turni per la vendita al dettaglio, nonché l'approvvigionamento di sostanze presso il punto di cessione ed, infine, preoccupandosi della riscossione dei proventi dai singoli associati. L'organizzazione spacciava di tutto, dall'hashish alla marijuana, dalla cocaina al crack, la droga del momento, estremamente pericolosa e che sta dilagando anche tra i giovanissimi.
Addolorato disponeva di una cassa comune con i suoi sodali, imponeva l'annotazione di entrate ed uscite, e indicava il prezzo della droga da vendere. Addolorato non si limitava soltanto a pianificare la turnazione degli spacciatori al dettaglio presso il garage, ma si premurava anche di ricevere dai suoi collaboratori un resoconto dettagliato sugli incassi percepiti e sulle vendite realizzate, impartendo precise disposizioni sulle modalità di erogazione del credito all'acquisto su eventuali punizioni nei confronti di debitori recalcitranti in ritardo con i pagamenti che l'organizzazione si trovava a dover adottare: "ora io, devo prenderlo a legnate per avere questi soldi, capito?”.
Le “orate” e la droga nei calzini
Entrambi i gruppi criminali, quello dei due cugini Addolorato, ricorrevano a procedure e modelli organizzativi tipici delle associazioni criminali dedite al narcotraffico. Tra tutti l’utilizzo di un linguaggio criptico per tentare di sviare le intercettazioni. Si parlava di “ricci”, “pesci”, “orate”, “magliette bianche - scure”. Ma chiaramente si parlava di droga. Anche perchè il prezzo praticato era incompatibile con il valore dei beni menzionati.
Anche in relazione alle modalità di trasporto della sostanza stupefacente emergeva nel corso delle indagini il continuo ricorso all'espediente di occultare la droga in un calzino; tale metodologia avrebbe trovato riscontro sia nelle conversazioni captate sia negli arresti e sequestri effettuati nel corso dell'attività, che avrebbero dimostrato ancor più chiaramente la natura del tutto fittizia della terminologia ucílizzata dagli indagati durante le loro interlocuzioni.
La piazza è compromessa
In quel magazzino di Mazara 2 Addolorato aveva trovato regolarità negli affari, tutto andava bene, i suoi spacciatori rispettavano le indicazioni. La sua impresa, insomma, generava profitti costanti e cospicui. Poi però la piazza è compromessa. Il garage che utilizzava Addolorato ad un certo punto non è più sicuro. Dalla fine del mese di maggio 2019 Salvatore Addolorato dismetteva progressivamente la piazza di spaccio di Mazara 2 (verosimilmente per probabili interferenze nella sua gestione da parte del fratello Addolorato Diego, affetto da
tossicodipendenza cronica) e diversificava la propria attività criminale attraverso l'importante contributo fornito di Accardi Alessandro (alias Banana) e Culicchia Roberto, quest'ultimo in particolare in grado di agevolare l'Accardi nella distribuzione della droga anche nei confronti di clienti abituali localizzati più lontano sul territorio, anche attraverso l'utilizzo di un'autovettura.
Il peschereccio
Le vicende oggetto di approfondimento investigativo sono state valorizzate anche in chiave economico-patrimoniale, acquisendo elementi indiziari che hanno permesso di ipotizzare, in capo a Salvatore Addolorato, il reato di autoriciclaggio, in quanto lo stesso avrebbe reinvestito parte del denaro frutto dell’attività illecita nell’acquisto di un motopeschereccio, che fa parte dei beni oggetto del provvedimento di sequestro. Il peschereccio Addolorato lo aveva comprato con i soldi fatti con i traffici di droga, si legge nelle carte dell’inchiesta. Infatti il peschereccio sarebbe costato 220 mila euro. Una cifra enorme rispetto a quanto specificato nelle dichiarazioni dei redditi. Nelle intercettazioni discutevano di utilizzare il motopesca per nuovi affari di droga nel Canale di Sicilia.
L’altra figura di spicco in questa operazione è quella di Rachela Addolorato, cugina di Salvatore. La signora della droga che aveva deciso di creare una piazza di spaccio tutta per sè. E per farlo aveva organizzato un clan che percepiva anche il reddito di cittadinanza.