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01/12/2022 06:00:00

La massoneria e il mostro di Firenze. Il caso del medico strangolato e il doppio cadavere

 L’ipotesi che dietro il cosiddetto “mostro di Firenze” si nascondesse un massone non è nuova. Ed è collegata con la morte di un medico di Perugia.

Si tratta del dottor Francesco Narducci, appartenente al Grande Oriente d’Italia, morto nel 1985 in circostanze misteriose. È l’anno in cui cessano i duplici omicidi che andavano avanti dal 1968 ai danni di coppie che si appartavano in auto, nelle campagne in provincia di Firenze, dove venivano  asportati feticci dai corpi femminili attraverso delle incisioni. Parti intime mai ritrovate.

A raccontarlo alla Commissione parlamentare antimafia è il dottor Giuliano Mignini, ex sostituto procuratore di Perugia, invitato a dare il proprio contributo sulle logge coperte e sulle cosiddette “doppie appartenenze”. Contributo contenuto nella relazione della Commissione, uscita il 16 novembre scorso.

 

Tutto ha inizio da una vicenda accaduta ad un’estetista di Foligno che, nei primi anni del 2000, viene presa di mira da alcuni usurai, che tentano di intimidirla con delle telefonate minacciose. Lei comincia a registrarle, fino a quando ne arriva una dove  a parlare sono due voci, una maschile ed una femminile:

M: “Pu***a! Non c’è limite al male, all’odio, al potere di Satana! Tuo figlio… prenderemo lui!

F: “La tua vagina sarà completamente spaccata come i sacrifici di Pacciani, anche lui un grande traditore!

M: “Finirai ammazzata come quei traditori di Pacciani e il grande professore Narducci, finito nel lago, strangolato!

 

Fino a quel momento, tutti sapevano che il dottor Narducci era morto annegato nel lago Trasimeno, nell’ottobre del 1985. Una disgrazia, oppure un suicidio. E dunque, davanti al contenuto di quelle minacce, l’allora sostituto procuratore di Perugia provvede a darne comunicazione all’autorità giudiziaria fiorentina attraverso il cosiddetto “Modello 45”, cioè con l’iscrizione di fatti non ancora diventati notizia di reato. In quella fase,  il dottor Mignini apprende che su Narducci non era stata eseguita alcuna autopsia. Dopo averla disposta, nonostante la riluttanza dei familiari del defunto, viene fuori che il medico perugino era stato davvero strangolato: “Dopo molte ore di lavoro paziente e meticoloso, si evidenziò questa frattura vistosa del corno superiore sinistro della cartilagine tiroidea”, chiaro indice di morte per strangolamento e non di annegamento.

 

Ma c’è di più. Il dottor Mignini (siamo a giugno del 2002), una volta aperta la bara, si aspettava di trovare un cadavere in condizioni pessime. Invece, si legge nella relazione della Commissione, “fu rinvenuto un cadavere corificato e munito di capelli”.

Inoltre, un particolare salta subito all’occhio: Il corpo di Narducci, sotto i pantaloni, “indossava un telo o grembiule (…), di un certo spessore, con dei disegni in forma di pentagramma”. Un telo che il professor Introvigne interpretò come “ritualità massonica arcaicizzante (…) che aveva una funzione punitiva, come se questo soggetto fosse stato degradato”.

Un telo che non era invece presente sul cadavere rinvenuto nel Trasimeno, perché gli addetti alle pompe funebri che lo avevano vestito non avevano apposto alcun grembiule.

E poi, altro particolare non da poco, era emerso che il corpo rinvenuto nel lago era alto circa un metro e sessanta, mentre Narducci era più di un metro e ottanta. “Un cadavere di una persona alta 1,82 , come era Narducci – ha affermato Mignini - non può perdere 20 centimetri di lunghezza dopo la morte”.

E ancora, il corpo riposto sul pontile il 13 ottobre del 1985 era “brachicefalo (col cranio più schiacciato, ndr), senza capelli, con una circonferenza addominale abbastanza robusta… Quello del Narducci era invece sub-dolicocefalo (col cranio più allungato, ndr), aveva i capelli chiari, non furono trovate le diatomee (particolare tipo di alghe, ndr), aveva questa taglia di pantaloni 48 small che gli permetteva anche di avere il telo sottostante”.

 

Ma allora, se il corpo riesumato nel 2002 era certamente quello del dottor Narducci, di chi era quello tirato fuori dal lago Trasimeno nel 1985?

A distanza di tempo, si legge nell’audizione contenuta nella relazione, fu concretamente ipotizzato che quel primo cadavere era di un cittadino messicano morto per omicidio.

Mignini aveva avviato una collaborazione coi magistrati che si occupavano del “mostro di Firenze”, ma il collegamento tra le due indagini si interruppe perché l’allora sostituto procuratore fu a sua volta indagato insieme al dottor Giuttari della Polizia di Stato, che si stava occupando del caso. Procedimento che in seguito si concluse con un’assoluzione ed una dichiarazione di prescrizione.

 

Su questo caso, la posizione della massoneria perugina dell’epoca non era unanime. I massoni di allora erano divisi a metà: una parte era propensa alla trasparenza (diversi personaggi legati al GOI offrirono un loro contributo alle indagini); un’altra voleva mantenere il più stretto riserbo.

Francesco Narducci , così come il padre ed il suocero erano inscritti al GOI nella stessa loggia, la “Bruno Bellucci”, dove c’era anche Sergio Casoli, l’allora rettore dell’università degli studi di Perugia, sindaco della città, senatore della Repubblica ed ex magistrato.

E’ chiaro che riti di sangue o punizioni arcaiche non potrebbero mai appartenere al Grande Oriente, né a nessun’altra obbedienza massonica  di tipo palese, regolarmente registrata.

Ma secondo il dottor Mignini, queste, oltre che sul mutuo soccorso, sarebbero fondate anche sulla presenza del “segreto interno”, in quanto “i massoni  di grado meno elevato, dovendo completare il loro percorso iniziatico, non hanno piena cognizione di quelle che sono le complesse finalità di tali organizzazioni”.

 

Questa incredibile vicenda sembra però inscriversi nell’ambito della cosiddetta “doppia appartenenza” e sull’esistenza della “massoneria di frangia”. Perugia sarebbe, secondo quanto ha raccontato Mignini alla Commissione, un crocevia di movimenti magici, quali i Rosacroce e la Chiesa agnostica. Perfino l’avvocato Giacomo Borrione, uno dei maggiori esponenti della massoneria, da lui conosciuto personalmente, “apparteneva ad una loggia massonica di tipo egizio, ma era anche ‘vescovo’ della Chiesa agnostica”.

Insomma, chi gravita intorno alla massoneria di frangia, sarebbe generalmente un affiliato di una loggia regolare, che poi insieme ad altri darebbe vita “a delle conventicole di tipo deviato che quasi non si riconoscono  più nella regolarità massonica d’origine”.

Un mondo difficile da indagare. “Mi ricordo di persone che si sono messe a piangere davanti a me – aggiunge Mignini - e mi hanno supplicato di non fare loro domande riguardanti quello che c’è al di là della realtà dei ‘compagni di merende’ (il gruppo di Pacciani, ndr)”.

Un mondo fatto di doppie appartenenze. E, nell’oscura vicenda del caso Narducci, anche di un doppio cadavere.

Rimane la domanda: il mostro di Firenze era davvero Narducci? Si parlò anche di una lettera trovata a casa del medico, subito dopo la sua morte. Una lettera vista dalla domestica e dal marito, in cui lui avrebbe confessato di essere stato l’autore dei delitti di Firenze, chiedendo perdono al mondo intero.

Ma quando Mignini, durante l’incidente probatorio, cercò di fissare questa testimonianza, la domestica cambiò versione: quello era soltanto un biglietto da visita. Il marito non confermò, né smentì. Perché nel frattempo era morto anche lui.  

 

 

Egidio Morici



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