Approda in un’aula di giustizia la polemica che nell’aprile 2021 vide scontrarsi il sindaco di Trapani, Giacomo Tranchida, e l’allora deputato regionale marsalese Eleonora Lo Curto.
La Procura di Trapani ha, infatti, citato direttamente a giudizio il sindaco Tranchida con l’accusa di avere diffamato la Lo Curto. L’avvio del processo, davanti al giudice monocratico Badalucco, è stato fissato per il 2 febbraio 2023.
La vicenda si inquadra nel contesto della polemica scoppiata nell’aprile dello scorso anno per il contributo regionale all’Ente Luglio Musicale trapanese. Tranchida è accusato di diffamazione “perché – si legge nel capo d’imputazione – nella sua qualità di sindaco del comune di Trapani, in relazione ad una breve intervista rilasciata da Lo Curto Eleonora all’emittente Telesud nella quale aveva dichiarato che un contributo stanziato dalla Regione Sicilia in favore dell’Ente Luglio Musicale trapanese era stato probabilmente cancellato, offendeva la reputazione” della Lo Curto diffondendo un comunicato stampa nel quale faceva affermazioni che l’ex deputato regionale ha ritenuto offensive.
Lo Curto in quell'occasione aveva sottolineato lo "squallore di un linguaggio inaccettabile di matrice sessista, proprio di chi, privo di argomentazioni, si esprime con espressioni aggressive e scomposte contro le donne. Se fosse l’uomo della strada o quello appena uscito da una taverna ad usare il verbo “razzolare”, riferendosi ai miei comportamenti, forse si potrebbe anche perdonare, ma se lo usa un sindaco nei confronti di una donna e di una donna delle istituzioni, non è solo politicamente grave ma culturalmente censurabile anche sotto il profilo etico. Questo linguaggio usato in modo “apparentemente indifferente”, che paragona le donne agli animali da cortile, perché a razzolare sono le galline, tradisce la precisa volontà di offendere in modo chiaro e inequivocabile me e tutte le donne, e la dice lunga sulla reale considerazione che egli ha del genere femminile. La volgarità del suo pensiero maschilista si manifesta al di là di ogni ipocrisia progressista. E conferma anche quel linguaggio omertoso, nel momento in cui ancora una volta non ha il coraggio di indicare con nome e cognome il presunto regista delle mie azioni".
Rossana Titone