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10/11/2022 06:00:00

Strumentalizzare i rave party per reprimere il dissenso

La linea che il governo Meloni avrebbe percorso una volta insediatosi era certamente prevedibile: si tratta pur sempre della parte più estrema della destra italiana. Perché, dunque, quello anti rave non è un decreto che mira al contrasto di questi ultimi?

 

I rave party, noti anche come free party, sono una delle poche espressioni culturali europee spontanee e trasversali. Del tutto gratuiti o facilmente accessibili, possono abbracciare qualsiasi classe sociale. Una sentenza della Corte di Cassazione ne fece rientrare uno tra i raduni garantiti dall’articolo 17 della Costituzione, che legittima i cittadini a “riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”.

A proposito dell’ultimo decreto legge voluto dal governo Meloni, che vede protagonista i rave party, ma che ha radici ben più profondamente a destra, la scrittrice Chiara Valerio ha fatto una riflessione lungimirante. “Forse nessun giudice vuole mai assolvere la felicità dei corpi. Si parla di abbracci e si risponde col decoro. La comunione dei corpi disturba”, ha scritto.

Eletta da poco, il diritto al dissenso e la sua tutela non sono mai stati tra le priorità del partito di cui la Presidente del Consiglio è leader. Più volte le forze dell’ordine si sono ferocemente mosse quando lo stesso è stato esercitato, anche pacificamente, dalla cittadinanza. Dalle proteste messe a tacere a suon di manganellate durante i comizi elettorali di Meloni alla manifestazione studentesca violentemente repressa presso La Sapienza di Roma, quando gli studenti hanno tentato di opporsi al convegno organizzato da Azione Universitaria e che vedeva come ospiti Daniele Capezzone e Fabio Roscani. Questi sono solo alcuni dei motivi per cui il così chiamato “decreto anti rave” preoccupa i più. Il suo carattere generale è ai limiti del vago: Tullio Padovani, accademico dei Lincei e docente di Diritto Penale, ha parlato di “analfabetismo legislativo”. Si tratta, infatti, di aspetti che rendono i margini di applicabilità talmente ampi per cui anche una manifestazione in piazza potrebbe cadere nell’illecito.

 

 

 

L’articolo 434-bis, inserito tramite un decreto legge, approvato dal Consiglio dei ministri e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, introduce una nuova fattispecie di reato nel codice penale. Questa, dunque, riguarda l’invasione per raduni “pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, dunque “arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o incolumità pubblica o la salute pubblica”.

 

Passando alle pene previste, chiunque organizza o promuove l’invasione “è punito con la pena della reclusione da 3 a 6 anni e con la multa da euro 1000 a euro 10.000. Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita”. Di quanto, non è dato saperlo. Chi lo ha fortemente voluto continua a difenderlo come finalizzato al contrasto dei rave party, nonostante la mancata menzione di questi ultimi.

La terminologia adottata, così imprecisa, non esclude la sua applicazione contro edifici occupati e campi rom, attivisti e manifestazioni studentesche, occupazioni scolastiche e universitarie. Lotte sindacali e sit-in dei lavoratori. Le autorità giudiziarie, dunque, hanno uno spazio interpretativo tanto ampio da favorire applicazioni arbitrarie. La giurista Vitalba Azzollini, a questo proposito, ritiene che con il nuovo reato si potrà sgomberare qualunque occupazione non autorizzata, anche del liceo.

Molti esperti, poi, hanno fatto notare l’inutilità della nuova norma visto il già esistente articolo 633 del codice penale, che punisce chiunque “invade terreni o fabbricati altrui al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto”. Non gli edifici o terreni pubblici, come vuole la nuova norma.

Nonostante l’approssimazione e l’imprecisione del decreto, è chiaro l’uso verbale. La pericolosità del pensiero nascosto nella pretestuosa lotta ai rave sta nel “può”, nell’ipotesi, cioè, del pericolo derivante dagli stessi. Nella possibile messa a repentaglio dell’ordine pubblico, dell’incolumità pubblica o della salute pubblica. Carlo Calenda si è detto d’accordo con il governo, dal momento che “lo Stato non può rimanere spettatore di eventi illegali e pericolosi”. Dunque, secondo il segretario di Azione, si può essere spettatori di quanto ancora non esiste.

Nel nostro ordinamento, poi, non può esserci reato se non è chiaro il bene da tutelare, per cui alla libertà di riunione garantita alla cittadinanza dalla nostra Carta Costituzionale non è opponibile un generalizzato limite dell’ordine pubblico. A tal proposito, dunque, i motivi di sicurezza o di incolumità pubblica devono essere comprovati e non supposti. Non solo: quello della “pericolosità” è un concetto arbitrario per cui erano sufficienti le leggi già vigenti. Diventa legittimo chiedersi, quindi, quale sia il criterio in base al quale darne una definizione.

“Con il nuovo reato di rave party – e le pene sproporzionate previste – il governo dimostra di voler intervenire su un fenomeno sociale con strumenti penali, dimostrando di non aver ben capito la questione giovanile e la lezione del sovraffollamento e dei 74 suicidi di questo 2022”, ha denunciato l’Associazione Antigone. 

L’opposizione è insorta, dunque. Se per Enrico Letta si tratta di un gravissimo errore, dal momento che “è la libertà dei cittadini che così viene messa in discussione”, per Matteo Salvini non si torna indietro. “Un PD ormai in confusione totale difende illegalità e rave party abusivi, chiedendo al governo di cambiare idea”, ha dichiarato. Il provvedimento, infatti, è nato a seguito dello sgombero del rave organizzato a Modena, in ogni caso pacifico e ben gestito dalle leggi vigenti che, a differenza dell’ultima introdotta, non limitano né minacciano preventivamente libertà e dissenso, come controbattuto da Letta.

Si dice preoccupato il segretario di Sinistra Italiana, Nicola Fratoianni, a causa dell’ampia portata che una tale norma può assumere, motivo per il quale anche il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, parla di “genericità” tale da consentire un esercizio discrezionale alle autorità preposte alla sicurezza e all’ordine pubblico. Definita dai Radicali Massimiliano Iervolino, Giulia Crivellini e Igor Boni come pericolosa, volutamente scritta male e applicabile a qualunque raduno ritenuto rischioso a giudizio proprio delle autorità pubbliche, il presidente di +Europa, inoltre, Riccardo Magi, la ritiene una legge “dal sapore putiniano”.

Il mondo della legge non lancia meno allarmi. Da Gaetano Azzariti a Michele Laforgia, fino a Giovanni Maria Flick e Vittorio Manes: i costituzionalisti e i giuristi che disapprovano e bocciano, sconcertati, quanto accaduto in questi giorni, sono numerosi. Si parla, dunque, di resistenza culturale come conseguenza di un articolo che “può cambiare la storia delle manifestazioni pubbliche in Italia”. Vinicio Nardo, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, parla di messa a rischio della libertà di riunirsi prevista dalla Costituzione, mentre Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, critica il mezzo adottato, definendo il decreto legge come “poco adatto all’introduzione di norme penali, incriminatrici. Da oggi quella norma è pienamente vigente senza che ci sia stata ancora un’approvazione del Parlamento”.

La velocità riscontrata nella scrittura e nell’approvazione del decreto, infatti, ha fatto pensare sin da subito a una mossa mediatica più che a una riflessione politica circa un ipotetico problema che se prima era di ordine pubblico, ora viene trasformato in giudiziario. “Insomma a fronte di un’esigenza fortemente sentita da tutti gli operatori del diritto, ossia evitare il caos della riforma Cartabia, invece di concentrarsi nel fare una norma transitoria su questo aspetto, hanno preferito dare una prova di forza su un problema, quello dei rave, che manco esiste in Italia”, ha affermato, a tal proposito, Eugenio Albamonte, pm a Roma e segretario di Area Democratica per la Giustizia.

Considerate le tristi affermazioni su quanto viene considerata “devianza giovanile” da Meloni, non stupisce l’idea autoritaria di utilizzare strumenti penali per combattere quello che, dal nuovo governo, viene visto come un reato. “C’è una stretta e un controllo sugli individui che si può dedurre dalla possibilità di intercettare tutti, anche i minori. A dispetto delle rassicurazioni di esponenti del governo, i pm potranno mettere sotto controllo i telefoni di moltissime persone, pur giovanissime, senza che abbiano commesso alcun reato. Senza neppure poter escludere quelli di politici o sindacalisti che organizzano raduni ritenuti pericolosi”. Si tratta di Gaetano Azzariti, costituzionalista presso La Sapienza di Roma, la cui riflessione è condivisa da chi, in questa norma, vede una minaccia all’agibilità politica di riconquistare spazi e fare politica, e un limite al luogo civico e a quanto costituzionalmente garantito, come le libertà sindacali, il diritto di manifestare (anche attraverso il dissenso) e di protesta.

“Il ‘decreto #raveparty’, che introduce il nuovo articolo 434 bis del codice penale, rischia di avere un'applicazione ampia, discrezionale e arbitraria a scapito del diritto di protesta pacifica, che va tutelato e non stroncato”, si può leggere, inoltre, sulla pagina Twitter di Amnesty Italia.

Si è svolto regolarmente e senza minaccia di scioglimento o di urgente disciplina, invece, il raduno fascista di Predappio (da vietare e condannare a prescindere) perché, secondo il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, mancava la denuncia del proprietario del suolo. “Si svolge da anni senza incidenti”, ha continuato. Come se l’apologia del fascismo non fosse incostituzionale, poi.

Il Ministro, inoltre, tiene a precisare che la finalità dell’articolo 434-bis mira all’allineamento alla legislazione degli altri Paesi europei, anche per “dissuadere l’organizzazione di tali eventi che mettono in pericolo soprattutto gli stessi partecipanti”. Stando alle sue dichiarazioni, dunque, restano meno, se non per niente, preoccupanti più di centinaia di nostalgici fascisti che attentano alla tenuta democratica di un intero Paese, commemorando la marcia su Roma e inneggiando alla dittatura fascista. Sembrano non essere affatto un problema, anzi.

Analizzando la situazione legislativa europea (https://www.editorialedomani.it/giustizia/decreto-anti-rave-paesi-europa-mhqcr9i2), però, alla quale quella italiana dice voler adattarsi, in Francia la situazione è ben diversa. Un provvedimento simile esiste dal 2001: la legge Mariani, infatti, vieta i raduni di più di 250 persone senza l’autorizzazione dei prefetti locali, prevede il sequestro degli impianti, le multe agli organizzatori e l’intervento delle forze dell’ordine per la dispersione dei partecipanti, per i quali non è prevista la detenzione.

Dal momento che si tratta di uno stato federale, in Germania la normativa varia a seconda delle regioni. Le denunce sono destinate, in ogni caso, agli organizzatori quando infrangono le leggi che tutelano le bellezze naturali o la violazione del domicilio.

La legge britannica, invece, è molto dettagliata. Iscritto nel Criminal Justice Act del 1994, quello che ora è un reato, un tempo era un illecito civile. Le forze dell’ordine possono allontanare chi organizza o partecipa ai rave, cioè “un raduno di 20 o più persone dove viene suonata musica amplificata di notte e che per il rumore e la durata e il momento del giorno in cui viene suonata potrebbe creare fastidio ai residenti”. E se, in Italia, il cosiddetto decreto anti rave non nomina mai l’oggetto che mira a contrastare, la normativa britannica chiarisce anche il concetto di “musica”, che sta per “anche ciò che include suoni del tutto o in modo predominante caratterizzati dall’emissione di beat ripetitivi”. La pena prevista, infine, è la detenzione, che non supera i 3 mesi.

“I rave non si sono fermati da trent’anni e non si fermeranno, in tutto il mondo. È un fenomeno che esiste, è un fenomeno culturale. Una società che non sia morta del tutto deve esercitare verso questi fenomeni apertura e tolleranza perché l’alternativa si chiama stato di polizia o, peggio ancora, totalitarismo”. Ospitato presso “Che c’è di Nuovo”, su Rai2, anche il musicista Cosmo ha espresso il suo sagace punto di vista sulla questione

In un Paese democratico, la messa a disposizione di spazi civili, politici e sociali in cui autodeterminarsi, ed emancipare il proprio pensiero e il proprio corpo deve essere garantito e favorito. Limitare, attraverso l’uso della forza o di leggi evitabili, la possibilità di dissentire, riunirsi e protestare è quanto di più lontano ci sia dallo Stato di diritto. Che va tutelato, in e per una società libera, egualitaria e alla portata di ogni essere umano.

GIORGIA CECCA