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07/11/2022 12:04:00

Cambia il reddito di cittadinanza: decade già al primo rifiuto dell'offerta di lavoro

 Cambia il reddito di cittadinanza: decade già al primo rifiuto dell'offerta di lavoro. Lo prevede il nuovo governo.

Non sarà abolito da un giorno all’altro, ma il Reddito di cittadinanza «si rinnoverà per periodi sempre più brevi» e decadrà dopo «un solo rifiuto del lavoro» dice Claudio Durigon, sottosegretario al Lavoro, intervistato dal Corriere della sera. 

 Il Reddito di cittadinanza non potrà essere a vita; sarà rinnovabile per periodi sempre più brevi e con un assegno a scalare. Chi rifiuterà anche una sola offerta di lavoro perderà il sussidio.

Punto di partenza: «Il sussidio non può essere a vita. Va fissato un termine oltre il quale non si può andare, un po’ come con la Naspi», l’indennità di disoccupazione. 

Funzionerebbe così. Dopo i primi 18 mesi, se la persona non ha trovato un lavoro, viene sospesa dal sussidio e inserita per sei mesi in un percorso di politiche attive del lavoro. Per esempio, corsi di formazione adatti al suo profilo e alle richieste delle aziende.

Percorso che, ha detto la premier Giorgia Meloni, potrebbe essere retribuito ricorrendo alle risorse del Fondo sociale europeo. Se dopo 6 mesi la persona è ancora senza lavoro, dice Durigon, potrebbe ottenere di nuovo il Rdc, «ma con un importo tagliato del 25% e una durata ridotta a 12 mesi», durante i quali continuerebbe a fare formazione. Se anche dopo questo periodo il beneficiario non è entrato nel mercato del lavoro, verrà sospeso per altri sei mesi, passati i quali potrà chiedere per l’ultima volta il Rdc, questa volta «solo per sei mesi e per un importo decurtato di un altro 25%. Prenderà cioè la metà di quanto prendeva all’inizio». La riforma prevederà che si decade dal diritto al reddito anche rifiutando una sola offerta congrua di lavoro (oggi due).

 Per potenziare le politiche attive verranno coinvolte maggiormente le agenzie private e rafforzati gli incentivi per chi riesce a collocare al lavoro gli interessati. Infine, c’è il versante dei controlli. «Pensiamo — dice il sottosegretario — che il sistema non debba più essere gestito centralmente dall’Inps ma sul territorio dai Comuni, che conoscono meglio le reali situazioni di povertà».



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