Che autunno sarà quello che ci aspetta sul fronte Covid? E' certo che la pandemia non è finita, però un po' abbiamo imparata a gestirla. Grazie ai vaccini, anche se le varianti aggirano le difese immunitarie, le conseguenze sono blande. Ma non bisogna abbassare la guardia, e gli annunci del governo Meloni, che strizza l'occhio ai no - vax, certo, non fanno bene.
Di questi temi ha parlato Sergio Abrignani, il noto immunologo e professore universitario marsalese, che è stato anche, durante l'emergenza, nel Comitato Tecnico Scientifico che affiancava i governi.
A che punto siamo davvero con il Covid, fuor di retorica e dati alla mano? Questa è la domanda che Il Foglio rivolge ad Abrignani. In questi giorni si è sentito dire, da parte della neo-premier Meloni, che “l’italia ha adottato le misure più restrittive dell’intero Occidente; nonostante questo, è tra gli stati che hanno registrato i peggiori dati in termini di mortalità e contagi” e, da parte del ministro della Salute Orazio Schillaci, che “oggi il Covid è diverso”, e quindi si andrà verso “una maggiore liberalizzazione”.
Il presidente Sergio Mattarella ha invitato a tenere alta la guardia: “Non possiamo ancora proclamare la vittoria finale sul Covid. Dobbiamo ancora far uso di responsabilità e precauzione”.
“Partiamo da un’osservazione”, dice Abrignani: “Senza il primo lockdown del 2020, avremmo avuto un numero di morti molto più alto, di fronte a un virus ancora sconosciuto. Non si poteva fare diversamente. Quanto alle restrizioni del 2021, quelle dei colori, venivano stabilite sulla base di dati clinici: il numero di infezioni, di ospedalizzazioni e di ricoveri in terapia intensiva. Misure identiche sono state adottate in tutti i maggiori paesi europei, Germania, Francia, Olanda, Austria, Spagna. Le restrizioni sono servite a contenere la circolazione del virus in periodi di picco dell’infezione, quando le vaccinazioni erano appena iniziate”.
Anche il green pass è stato utile? Dice Abrignani: “In Francia ha evitato circa 4000 morti, e più di 1000 in Italia e Germania, e ha creato le condizioni per un aumento del Pil, in questi paesi, tra lo 0,3 e lo 0,6 per cento. In Francia, inoltre, ha permesso di evitare il lockdown totale”.
E la mortalità? Abrignani cita uno studio della piu autorevole banca dati Covid, il John Hopkins Coronavirus Resource Center: “Percentualmente, gli Usa, il Canada, la Spagna e la Svezia hanno avuto più morti per casi di Covid confermati dell’italia; mentre la Germania e la Francia meno di noi, ma siamo nella media dell’occidente”.
Ora facciamo tutto quello che facevamo prima del Covid, fatta eccezione per le mascherine in ospedale. “Riguardo l’uso delle mascherine negli ospedali, dove per definizione si concentrano malati e fragili, ricordo”, dice l’immunologo “che le mascherine riducono il rischio di infezione del 54 per cento, e se si usa bene la Ffp2 fino all’80 per cento.
Ma il punto, dice Abrignani, è un altro: “E’ vero che il Covid è cambiato, che è meno letale, anche se ancora molto mortale (40.000 italiani morti nei primi 9 mesi del 2022 e parliamo di eccesso di mortalità complessiva), vista l’alta infettività, ma la verità è che siamo cambiati tanto noi: ora accettiamo il rischio di un relativamente alto numero di morti (il 7 per cento circa del totale dei morti, la terza causa di morte nel nostro paese), a fronte della mancanza di restrizioni. Riguardo i vaccini bisogna dire che hanno evitato decine di migliaia di morti. All’inizio, con il vaccino basato sul ceppo di Wuhan”, spiega Abrignani” e con il virus Wuhan in giro, il vaccino proteggeva benissimo sia dall’infezione (85 per cento circa) sia dalla malattia severa (90 per cento circa). Con la variante Delta la protezione dall’infezione è scesa al 65-70, mentre quella dalla malattia severa è rimasta all’85 per cento. Con Omicron abbiamo una protezione dall’infezione al 30-40 per cento, ma ancora 85 per la malattia severa. Questo perché la protezione dall’infezione dipende dagli anticorpi neutralizzanti che riconoscono solo una piccola e molto variabile regione della proteina spike, mentre quella dalla malattia severa dipende dai linfociti T che uccidono le cellule infettate e riconoscono tutta la Spike. Vedremo con il nuovo vaccino Omicron se recuperemo la protezione dall’infezione”.
Rifarebbe tutto, Abrignani: “Tutte le nostre decisioni sono state prese in scienza e coscienza, sulla base delle informazioni disponibili al tempo”.
Abrignani ha risposto poi ad altre domande per il Corriere della Sera. Ecco un estratto dell'intervista:
Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha dato il chiaro segnale del cambio di rotta, anche sulla pubblicazione dei bollettini quotidiani. Lei è d’accordo?
«Sono d’accordo sull’inutilità di renderlo accessibile all’opinione pubblica. Quell’elenco di dati serve però ai tecnici, all’Istituto superiore di sanità, per continuare a monitorare l’epidemia. Se poi vogliamo pubblicarlo settimanalmente va benissimo. Ha ragione il ministro quando afferma che il Covid è cambiato. E anche noi».
Come?
«Le restrizioni che in questi anni hanno modificato la nostra normalità sono state ammorbidite. Significa anche che adesso siamo pronti ad accettare il rischio di un alto numero di morti, mediamente il 7% di tutti i decessi».
Lei ha partecipato al lavoro del Cts, il Comitato tecnico scientifico, da marzo 2021 a marzo 2022, con il governo Draghi. Troppi obblighi calati dall’alto?
«L’Italia ha adottato misure simili o addirittura meno pesanti rispetto ad altri Paesi che ci sono venuti dietro prevedendo lockdown e obbligo di green pass. Mi riferisco a Germania, Francia e Spagna, per citare solo quelli dell’Unione europea. L’Austria ha vietato ai non vaccinati qualsiasi libertà, in Germania i cittadini non immunizzati hanno potuto uscire di casa solo per lavoro o per acquisti di necessità. Nonostante i divieti, il costo pagato sul piano delle vittime da noi è stato indubitabilmente molto alto. E se non avessimo chiuso il Paese il bilancio sarebbe stato molto più doloroso».
Perché tanti morti?
«Il Case fatality ratio, uno studio epidemiologico sulla mortalità pubblicato dal prestigioso John Hopkins Institute, riporta evidenze differenti. La percentuale di decessi in relazione ai casi di infezione è più o meno simile nell’Ue. Si oscilla tra lo 0,4 di Germania e Francia e lo 0,8 della Svezia. L’Italia è in mezzo, siamo tutti più o meno sugli stessi valori. Le minime differenze dipendono anche dal diverso sistema di diagnosi con i tamponi».
Alcune decisioni non avevano sufficienti basi scientifiche?
«Bisogna calarsi nel contesto della situazione di allora. Quando arriva un nuovo virus l’unico orientamento è basarsi sul comportamento di virus della stessa famiglia, in questo caso respiratorio. Siamo stati i primi in Europa ad essere travolti dall’ondata, mancavano modelli di riferimento».
Verrà nominata una Commissione parlamentare sulla gestione dell’epidemia.
«Ben venga tutto ciò che contribuisce a fare chiarezza, abbiamo fatto da apripista».