"Dopo di me il diluvio - après moi le déluge!-", frase attribuita dalla tradizione al re di Francia Luigi XV, che l’avrebbe pronunciata nel corso di una conversazione con la marchesa di Pompadour, amante molto influente del monarca, per descriverle il futuro della nazione. Oggi l’espressione viene utilizzata soprattutto per riferirsi a chi sente che dopo la propria fine -reale o metaforica che sia - le cose andranno a finire molto male, ma si disinteressa al destino degli altri che da tale epilogo saranno coinvolti, trattasi di un modo raffinato per definire un atteggiamento menefreghista. Mi è sovvenuta la locuzione, anche se il concetto in questa fattispecie è stato manifestato in modalità più subdole allorquando l'ex deputato all'Ars Claudio Fava ha dichiarato in un post:
"Mi fermo qui. Dopo trent’anni di impegno politico mi chiamo fuori. La sconfitta elettorale non c’entra: c’entra la vita. Che ti propone un tempo per tutto: basta essere capaci di ascoltarla. Mi fermo senza ripianti né recriminazioni. Molto si potrebbe dire e scrivere (e forse, non qui, lo farò) su questa campagna elettorale noiosa e reticente, sulle scelleratezze di un partito democratico che in Sicilia preferisce sempre perdere pur di non rinunciare ai propri minuscoli califfati, su una candidata alla presidenza votata al silenzio (non spendere una sola parola sulle macerie ereditate da questa destra si chiama silenzio, non “sobrietà istituzionale”). Ma anche sulle nostre storie a sinistra scritte sempre in punta di diffidenza, di divisione, di purezza della razza, presunzione, ostilità. Ma il punto, ripeto, non è l’esito di queste elezioni: è la vita che mi sollecita altro, e io le voglio offrire altro. C’entra anche, lo dico per onestà, il mio rapporto faticoso con questa terra. Da quando ho trent’anni ho trascorso il mio tempo a seppellire morti e a cercare nella Sicilia una capacità di verità, di reciproca appartenenza, di condivisione nelle parole, nei gesti, nei dolori, nelle allegrie. A volte ci sono riuscito, a volte no. Adesso è tempo di altre parole e di altri siciliani. È il tempo di quelli che hanno metà dei nostri anni. Che non hanno nessun morto da seppellire. Che provano rabbia, dolore ma anche curiosità e passione. Che non vogliono diventare anch’essi piccoli califfi d’un partitino. Che scelgono con cura le parole, prima di usarle. Ne conosco molte e molti. Fanno mestieri degni, insegnano, studiano, cercano. Sono sicuro che faranno bene.
Il mio amico Riccardo (che ringrazio per aver voluto onorare la nostra amicizia e la nostra storia comune accettando, a settant’anni suonati, di candidarsi con i Cento Passi) scrive: “Sicilia buco del mondo, Sicilia dei morti di mafia, Sicilia dei ragazzi di Fava e di Borsellino. Sicilia feroce e povera, Sicilia di dignità e di bandiere. Sicilia con la valigia di cartone, Sicilia con la lupara e le bombe. In questo piccolo mondo, nella disgrazia di oggi e nell’amore di ieri, si concentra tutto. E non servono più parole.”
Ecco, non servono più parole. Non le mie: le porto altrove, in luoghi e cammini dell’esistenza dove si può far politica anche ascoltando, guardando, sillabando, ricordando, scrivendo. E soprattutto vivendo.
Fava lascia un eredità, il post è un testamento e quest'ultimo è ingannevole, la sua resa, comprensibile e legettima, è ammantata dalla richiesta della vita di fare altro, non dalla sua sacrosanta volontà di determinarsi un altro destino. Nel vago auspicio di persone, che non hanno nessun morto da seppellire, disposte e capaci di continuare la sua battaglia costellata da morti tra cui il papà. Con la tristezza che le sue parole non servino più. Non lo dice apertamente ma il retrogusto è quello di "dopo di me il diluvio".
P.s. ero a Porta Nuova per il suo comizio alle primarie del centrosinistra un conoscente di sinistra mi disse:"sono trent'anni che ascolto la stessa solfa, provo la ragazza -M5S-é preparata e più giovane".
Vittorio Alfieri