Non c’è prova che quei 20 chili di cocaina sequestrati in Colombia fossero destinati ad arrivare in Italia. Per questo il Tribunale di Marsala (presidente Vito Marcello Saladino), pur condannando i quattro imputati del processo scaturito dall’operazione “Tierra”, ha inflitto loro pene molto meno severe da quelle invocate dal pm della Dda.
Nove anni, 5 mesi e 23 giorni di carcere, con 34 mila euro di multa, sono stati inflitti a Salvatore Crimi, 64 anni, di Vita, sette anni e un mese ciascuno, e 26 mila euro di multa, a Giovanni Pipitone, di 53, anche lui di Vita, e a Matteo Anzelmo, di 61 anni, di Mazara, mentre a 5 anni e 4 mesi e 16 mila euro di multa è stato condannato Gianni Ingraldi, di 38, di Salemi. Per tutti divieto di espatrio.
Secondo l’accusa, i quattro avrebbero trafficato cocaina dalla Colombia verso l’Italia. Dal processo, però, ha sostenuto la difesa, non è emersa la prova che lo stupefacente sequestrato dalle forze dell’ordine del paese sudamericano fosse destinato alla Sicilia. E per questo il Tribunale ha riqualificato l’accusa in “ipotesi tentata”.
I giudici hanno, inoltre, assolto i quattro imputati dall’accusa di associazione per delinquere. Per questo le pene inflitte sono state molto meno severe di quanto chiesto dal pm della Dda di Palermo Pierangelo Padova, che aveva invocato 27 anni per Crimi, 20 ciascuno per Anzelmo e Pipitone e 18 per Ingraldi.
Due anni fa, in aula, a spiegare la genesi dell’inchiesta era stato è stato il maggiore dei carabinieri Fabrizio Perna. “Condotta tra il 2012 e il 2014 – ha detto l’ufficiale - l’indagine ha preso le mosse da un’altra su un contesto mafioso. Abbiamo monitorato Salvatore Miceli, già arrestato dai carabinieri di Trapani a Caracas, e si evidenziò la necessità di un approfondimento su ipotesi di narcotraffico. Furono registrati colloqui in carcere e sono emersi i nomi di Pipitone Giovanni e Anzelmo Matteo. Poi, scopriamo l’esistenza di due associazioni: una con Salvatore Miceli e l’altra con Crimi Salvatore, Palermo Giuseppe (rinviato a giudizio a Palermo, ndr), entrambi coinvolti nell’operazione Igres, Anzelmo Matteo e Pipitone Giovanni. I due gruppi hanno rapporti e momenti di contatto. Anche con il broker del narcotraffico Roberto Pannunzi, che avrebbe dovuto reperire la droga, che poi Palermo, con complicità colombiane, doveva spedire in Italia. Un ingente quantitativo di stupefacenti doveva arrivare nascosto su una imbarcazione che doveva partecipare a una gara velica”.
A difendere i quattro imputati sono stati gli avvocati Giuseppe De Luca, Carlo Ferracane, Walter Marino e Giovanni Mannino, che pur non rilasciando dichiarazioni non hanno nascosto la loro soddisfazione per avere evitato ai loro clienti pene ben più severe, come quelle invocate dalla pubblica accusa.
Prima della testimonianza del maggiore Perna, il pm Padova aveva prodotto gli atti della rogatoria internazionale relativa ad un sequestro di 320 chilogrammi di cocaina in Colombia (a Santa Marta). Nell’udienza preliminare davanti al gup di Palermo, comunque, è caduta l'ipotesi dell'associazione per delinquere. E’ rimasta in piedi l’accusa per singoli episodi di traffico di stupefacenti. E per alcuni di questi episodi contestati, il 21 marzo 2018, il gip di Palermo Cesare Vincenti ha dichiarato il “non luogo a procedere” perché “il fatto non sussiste” per Anzelmo, Crimi, Pipitone, Antonino Corpora e Vito Cappello. Il via alle indagini è arrivato dal nome “Matteo”, che faceva spesso capolino nei colloqui intercettati di Salvatore Miceli. E così la vita di Matteo Anzelmo è finita sotto osservazione. Miceli rimproverava a Michele Decina, anche lui salemitano, di avere commesso l'errore di mettere in contatto Anzelmo con un fornitore in Colombia: “... se tu avessi parlato con me, io non ti permettevo di darglieli... deve fare sotto controllo, perché ricordati una cosa… qualunque cosa che… cade sopra a me... conoscenze non ne dobbiamo dare in mano a nessuno… perché io non ci sono... ti mettono di lato…”. Il gancio in Sud America sarebbe stato, come detto dal maggiore Perna, Roberto Pannunzi, altro pezzo grosso del narcotraffico internazionale, arrestato nel 2013 in un centro commerciale di Bogotà dopo tre anni di latitanza. Latitanza possibile, dicevano nelle conversazioni in carcere, perché “lui là paga. Paga sempre... là paga, per cancellare. E poi gli ricompare nuovamente. Ogni tre, quattro mesi”. Si è scoperto che la stazione di posta della presunta banda era stata allestita in un internet point di Mazara dove facevano spesso tappa Anzelmo, Crimi e Pipitone. I carabinieri hanno estrapolato il contenuto di alcune email inviate e spedite a soggetti che vivevano in Colombia: “Ciao caro amico il piccoletto e andato dove tu volevi e ci ha parlato il costo per aprire la pratica e di diecimila euro, per la pratica che avevamo parlato noi ci sto lavorando ancora. il piccoletto ci ritorna fra otto giorni. aspetto tua risposta un caro saluto”. Le intercettazioni avrebbero svelato tre progetti per importare droga in Sicilia. I primi due sarebbero rimasti fermi alla fase progettuale, mentre il terzo è stato stoppato dai carabinieri. In particolare, la cocaina avrebbe dovuto essere trasportata nella stiva di una barca iscritta a una regata transoceanica e, con la complicità di un imprenditore siciliano, all'interno di un carico di biossido di titanio destinato ad un colorificio. Il terzo progetto prevedeva che la droga venisse caricata su una nave carboniera diretta ad Amsterdam solo che un carico di 320 chili di polvere bianca fu bloccato a Santa Marta. Secondo i carabinieri, venti chili spettavano alla banda siciliana. Sono le conversazioni intercettate a testimoniare la dimestichezza, secondo l’accusa, degli indagati con gli affari della droga e le conoscenze con i narcos del cartello colombiano.