Nell'armadio di un giudice a Catania c'erano decine di bottigliette piene di urina. Le voci si sono rincorse per settimane nel Palazzo di giustizia di piazza Verga, in concomitanza con l'arrivo in città dei nuovi funzionari dell'Ufficio per il processo. La ricerca spasmodica di uffici, stanze e scrivanie in cui allocare i nuovi addetti ha creato una sorta di trasloco continuo. Dentro un armadio c'erano decine di bottiglie da mezzo litro piene di un liquido di colore giallastro, dal contenuto incerto.
Il trasloco si ferma, iniziano le indagini che alla fine si concludono con la scoperta: quelle bottigliette erano piene di urina di un giudice che, nell'era della pandemia da Covid, temendo per il rischio di promiscuita dei bagni del tribunale, ne ha fatto una sorta di improprio water privato ed esclusivo. "Avevo il terrore del Covid" ha confessato. Tant'è che ogni mattina disinfettava, per esempio, la scrivani con l'alcool. Aggiungendo poi che, per sbadataggine, si è dimenticato di buttare le bottigliette.
L'istruttoria va avanti, il giudice civile ammette e a sua volta apre un altro armadio, chiuso a chiave, con altre bottiglie. La notizia, riportata dal quotidiano La Sicilia, non è confermata, ma neppure smentita dal presidente del tribunale di Catania, Francesco Mannino.
Per il giudice sotto indagine, forse un provvedimento disciplinare, anche se è difficile ipotizzare il reato. Qualcuno con ironia pensa, codice ambientale alla mano, all'abbando dei rifiuti.
Anche se, bisogna chiedersi, un dubbio viene: se questa è la pipì, come ha fatto il signor giudice per l'altro bisogno, quello grosso?