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09/06/2022 06:00:00

Becchina story/3. I racconti di Vaccarino, Grigoli, Cimarosa. Tra tombaroli, buste e finti attentati

La famiglia Messina Denaro, è noto, ha un certo interesse verso l’arte e i beni archeologici. Un interesse che il patriarca “don” Ciccio trasmette al figlio Matteo. Un interesse che secondo alcuni collaboratori di giustizia avrebbe coinvolto direttamente Gianfranco Becchina, il mercante d’arte a cui sono stati sequestrati 10 milioni di euro. Da Vaccarino a Grigoli, a Cimarosa. Negli anni hanno detto molte cose su Becchina, alcune riscontrate, altre no. Alcuni fatti si sono rivelati delle messinscena.


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Nel decreto di confisca dei beni di Gianfranco Becchina si mettono in conto anche le dichiarazioni di Tonino Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, figura controversa e discussa, morto un anno fa dopo un’agonia iniziata in carcere.

Vaccarino qualche anno fa riferì che Becchina gli aveva fatto intendere di avere avuto rapporti con Matteo Messina Denaro. Aveva la sensazione, Vaccarino, che quando interloquiva con il latitante, dietro lo pseudonimo Svetonio, per conto dei servizi segreti, Becchina avesse manifestato “maggiore attenzione nei miei confronti”, salvo poi mutare radicalmente atteggiamento quando era stata resa pubblica la sua collaborazione con l’intelligence.


La famiglia Messina Denaro era molto interessata verso i reperti archeologici. Vaccarino, infatti, racconta di aver appreso da un tombarolo dell’interesse del “patriarca” mafioso Francesco Messina Denaro verso i reperti archeologici.
Vaccarino ricorda anche quando il compianto Sebastiano Tusa, allora soprintendente dell’area archeologica di Selinunte, rimproverò all’uomo l’attività di tombarolo e la sua vicinanza ai Messina Denaro.

 


Gli “agganci svizzeri”
Parla di Becchina anche Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di cosa nostra. Anche le sue dichiarazioni confermano un florido traffico illecito di opere archeologiche di cui si occupava la famiglia mafiosa di Castelvetrano. Traffico che si era sviluppato attraverso “agganci svizzeri”. Ma Siino in queste vicende non coinvolge direttamente Becchina.

I soldi per Messina Denaro
Una novità nel decreto di confisca sono le dichiarazioni di Giuseppe Grigoli, l’ex re dei supermercati socio di Matteo Messina Denaro nell’affare della grande distribuzione. Grigoli non si è pentito, non è un collaboratore di giustizia. Non è neanche il tipo “a domanda rispondo”. Ha reso, come scrive il giudice, “parziali dichiarazioni”. Che però hanno fatto fare il salto sulla sedia ai Messina Denaro, in particolare a Patrizia, sorella di Matteo. “Se parla Grigoli è una catastrofe” avrebbe detto la sorella del latitante alcuni anni fa. E poi l’ordine, magari venuto dal fratello latitante. “Grigoli non si tocca”.
Il re dei supermercati ha raccontato di aver ricevuto, tra il 1999 e il 2006, buste contenenti del denaro che gli sarebbero state consegnate periodicamente proprio da Becchina. Grigoli le avrebbe poi girate a Vincenzo Panicola, marito di Patrizia Messina Denaro, perchè provvedesse a farle arrivare al cognato latitante. Secondo quanto racconta Grigoli, Becchina avrebbe sostituito l’anziano mafioso Giacomo De Simone che fino al 1999 aveva provveduto a consegnare le buste di denaro.
Scrive il giudice, inoltre, che proprio “il ruolo di Becchina ed il contributo da questi offerto alla cosca mafiosa” attraverso l’elargizione di denaro, a dire di Grigoli, sarebbe il segreto che Messina Denaro avrebbe voluto tutelare quando aveva ordinato alla sorella Patrizia di abbandonare l’idea di aggredire fisicamente Grigoli.

 

La finta intimidazione
Un altro episodio controverso che racconta Grigoli è la finta intimidazione ai danni di Becchina. Una autointimidazione. Grigoli racconta che Becchina gli disse che aveva trovato una testa di agnello sul cancello della sua abitazione, “invitandomi a scrivere a Matteo Messina Denaro, nel caso in cui la notizia fosse apparsa sui giornali, che la testa di agnello era stata messa da lui per apparire come soggetto vittima della mafia e non vicino al latitante”.


In realtà, come rilevato dai carabinieri, non si trattava di una testa di agnello, ma di una testa di una bambola, “appena appesa nella parte superiore di un’asta di ferro nell’area verde davanti al cancello d'ingresso dell’abitazione di Becchina”. Becchina dice ai carabinieri di non essere mai stato vittima di minacce o intimidazioni. I carabinieri danno per più plausibile l’ipotesi che la testa di bambola fosse stata rinvenuta da qualcuno in un cassonetto della spazzatura e esso sull’asta per intimorire i passanti. Nonostante questo, un anno dopo, Becchina scrive ai carabinieri insinuando di essere oggetto di “azione intimidatoria” per alcuni fatti che, oltre all’episodio della bambola, facevano riferimento ad altri tre episodi. Il furto e lo spargimento di carburante agricolo nella sua azienda, il rinvenimento di due ratti morti sul terrazzo, il rinvenimento di una bottiglia di pipì.


Gli spari al portone
E’ il primo a parlare della famiglia Messina Denaro, Lorenzo Cimarosa. Sa, anzi, sapeva molte cose il cugino del boss latitante deceduto pochi anni fa dopo aver cominciato a raccontare alcune vicende ai magistrati. Anche a Cimarosa erano noti gli interessi nei reperti archeologici della famiglia Messina Denaro. Racconta che gli era capitato di assistere personalmente al rinvenimento di reperti archeologici che dovevano essere consegnati all’anziano boss Francesco Messina Denaro che aveva la possibilità di commercializzarli in Svizzera attraverso Becchina.

 

 

 

Cimarosa racconta anche di un violento atto intimidatorio nei confronti di Becchina. Gli avevano sparato alcuni colpi di pistola sul portone d’Ingresso. Cimarosa riferisce di essersi trattato di un avvenimento ordinato da Matteo Messina Denaro.

Tante testimonianze. Che mettono Becchina nei guai. La sua difesa la vedremo domani.

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