di Katia Regina e Gabriele Civello
Dovrebbe essere il principale strumento di democrazia diretta, vi risparmio tutta la tiritera etimologica, ché tanto non frega niente a nessuno.
Proverò invece a focalizzare la questione sull'opportunità che viene data ai cittadini di esprimersi in merito a questioni su cui non sanno niente o quasi. Un cittadino di cultura media che prova a informarsi prima di prendere una decisione su un argomento tanto delicato quale appunto la giustizia, si ritrova a sentire fior di giuristi favorevoli al sì o favorevoli al no che argomentano con serietà le proprie ragioni: ebbene ditemi voi come potrà scegliere con cognizione da che parte stare. Il solo metodo di giudizio che potrà applicare per orientarsi sarà dunque quello di appartenenza, vediamo cosa vota il mio partito e mi allineo. Ma veramente è necessario spendere 300 milioni di euro per fare esprimere quanti non hanno compreso bene quali saranno le conseguenze, in ambito pratico, se verranno abrogate alcune parti delle leggi esistenti? Non dovrebbe essere questo il compito, invece, di parlamentari, commissioni di esperti, giuristi e quant'altro? In tutta questa vicenda mi terrorizza il solo pensiero che verranno chiamati a esprimersi anche i famigerati legionari della rete, quelli che avvertono sempre la necessità di esprimersi su ogni argomento, quelli che sanno tutto sui vaccini, sui complotti, sulla forma della terra e sulla guerra.
Così è se vi pare, diceva qualcuno, e allora proverò a dare un piccolo contributo anch'io, ma siccome non sono un'esperta mi affido a un professionista serio e competente, l'avvocato Gabriele Civello, che già in passato ci ha aiutato a fare un po' di chiarezza su un altro tema referendario.
***
I cinque referendum sulla giustizia
1. La riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (Scheda verde)
ATTUALMENTE: Un magistrato che voglia essere eletto al Consiglio Superiore della Magistratura ha l’obbligo di raccogliere da 25 a 50 firme per presentare la propria candidatura.
LE RAGIONI DEL Sì: Dovendo raccogliere da 25 a 50 firme, il candidato deve ottenere il “beneplacito” delle correnti interne alla magistratura. Con il “sì”, si tornerebbe alla legge originale del 1958, che prevedeva che tutti i magistrati in servizio potessero proporsi come membri del CSM presentando semplicemente la propria candidatura, senza onere di raccogliere firme di “appoggio”. Si ritiene che, in questo modo, la candidatura sarebbe legata solo alle qualità personali e professionali del magistrato candidato, e non agli interessi delle correnti o al loro orientamento politico.
LE RAGIONI DEL NO: È corretto pretendere la raccolta delle firme per la presentazione delle candidature al CSM, per garantire che il candidato abbia un qualche “appoggio” da parte dei suoi colleghi, quindi la legge attuale va mantenuta. Peraltro 25 o 50 firme possono essere agevolmente raccolte dal candidato, anche senza il sostegno di alcuna corrente interna alla magistratura.
2. Equa valutazione dei magistrati (Scheda grigia)
ATTUALMENTE: Avvocati e professori universitari, pur facendo parte del Consiglio Giudiziario, non hanno potere di voto in merito alle valutazioni di professionalità – in parole povere, alle “progressioni di carriera” – dei magistrati italiani. Quindi oggi la “pagella del magistrato” è sottoposta solo all’approvazione degli altri magistrati, e non già di avvocati e di docenti universitari.
LE RAGIONI DEL Sì: Non è giusto che, nelle delibere per le progressioni di carriera dei magistrati, abbiano potere di voto i soli magistrati, trattandosi di un sistema eccessivamente autoreferenziale, che non dà voce agli altri operatori del diritto. Se passa il “sì”, anche avvocati e docenti universitari saranno chiamati a votare le “pagelle del magistrato”, al fine di stabilire se un singolo magistrato sia o meno meritevole di ottenere una progressione di carriera.
LE RAGIONI DEL NO: L’ordine giudiziario è un potere dello Stato autonomo e indipendente, quindi è giusto che siano i giudici, e solo i giudici, ad avere diritto di voto in merito alla progressione di carriera dei magistrati stessi.
3. La “separazione delle carriere” (Scheda gialla)
ATTUALMENTE: Un magistrato che abbia vinto il concorso può, nel corso della propria carriera, cambiare funzioni anche in più occasioni, rivestendo di volta in volta la qualità di Pubblico Ministero (organo d’accusa) o di giudice.
LE RAGIONI DEL Sì: Il Pubblico Ministero è una parte del processo, come l’imputato o la parte civile. Pertanto, è giusto che il singolo magistrato rivesta per tutta la sua carriera la sola qualità di organo d’accusa o di organo giudicante, mentre un passaggio dalla carriera requirente a quella giudicante, o viceversa, mina alla radice la terzietà e imparzialità del giudice. Se uno stesso magistrato oggi è Pubblico Ministero e domani sarà giudice, o viceversa, potrebbe non essere o quantomeno non apparire davvero imparziale agli occhi dei cittadini e dell’imputato; in particolare, il magistrato che ha svolto le funzioni di Pubblico Ministero è portato, per sua natura, ad abbracciare più facilmente la tesi accusatoria, quindi quando diventerà giudice non sarà davvero imparziale.
LE RAGIONI DEL NO: Il passaggio da organo requirente a organo giudicante è fisiologico e, anzi, è un arricchimento per il magistrato; questa contiguità di carriere, in ogni caso, non mina l’indipendenza e l’imparzialità del giudice, né la sua professionalità.
4. Limiti agli abusi della custodia cautelare in carcere (Scheda arancione)
ATTUALMENTE: Il giudice penale può applicare la custodia cautelare in carcere, in attesa della sentenza definitiva, se sussistono tre ragioni: 1) pericolo di fuga; 2) pericolo di inquinamento probatorio; 3) pericolo di reiterazione del reato.
LE RAGIONI DEL Sì: Un imputato, finché non viene condannato con sentenza definitiva di condanna, dopo tutti i gradi di giudizi, si presume per Costituzione innocente. Pertanto, la custodia cautelare in carcere dovrebbe essere limitata – come richiede il nuovo quesito referendario – ai soli casi di pericolo di reiterazione di gravi reati con uso di armi o con altri mezzi di violenza personale o diretti contro l'ordine costituzionale ovvero di delitti di criminalità organizzata. Il sol fatto che vi sia il pericolo di reiterazione di un reato – al di fuori di tali speciali ipotesi – non dovrebbe poter giustificare l’applicazione della custodia cautelare in carcere.
LE RAGIONI DEL NO: Esistono reati gravi – come, ad esempio, la corruzione o i reati contro il patrimonio – che, pur non comportando l’uso di armi etc. (v. sopra), richiedono una ferma reazione da parte dello Stato, anche sotto forma di custodia cautelare in carcere, in attesa della sentenza definitiva di condanna, se vi è il pericolo di reiterazione del reato in corso di giudizio.
5. Abolizione del “decreto Severino” (Scheda rossa)
ATTUALMENTE: Il decreto legislativo che porta la firma dell’ex ministro della Giustizia Paola Severino prevede incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali in caso di condanna. Ha valore retroattivo e prevede, anche a nomina avvenuta regolarmente, la sospensione di una carica comunale, regionale e parlamentare se la condanna avviene dopo la nomina del soggetto in questione. Per coloro che sono in carica in un ente territoriale basta anche una condanna in primo grado non definitiva per l’attuazione della sospensione, che può durare per un periodo massimo di 18 mesi.
LE RAGIONI DEL Sì: Nella maggioranza dei casi in cui la legge è stata applicata contro sindaci e amministratori locali, il pubblico ufficiale è stato sospeso (perché condannato in primo grado), costretto alle dimissioni, o comunque danneggiato, e poi è stato assolto perché risultato innocente. La legge Severino ha esposto amministratori della cosa pubblica a indebite intrusioni nella vita privata, anche perché, fino alla sentenza di condanna irrevocabile (dopo tutti i gradi di giudizio), qualunque imputato deve presumersi innocente, anche quello che rivesta cariche pubbliche. Se vince il “sì”, viene abrogato il decreto e si cancella così l’automatismo: si restituisce ai giudici la facoltà di decidere, di volta in volta, se, in caso di condanna, occorra applicare o meno anche l’interdizione dai pubblici uffici.
LE RAGIONI DEL NO: In presenza di una determinata sentenza di condanna anche solo di primo grado (benché impugnata in appello o in Cassazione), è giusto prevedere sempre e in ogni caso incandidabilità, ineleggibilità e decadenza automatica per i parlamentari, per i rappresentanti di governo, per i consiglieri regionali, per i sindaci e per gli amministratori locali; non è giusto lasciare al giudice, di volta in volta, il potere di decidere sul punto.