Riprende oggi, davanti al Gup di Trapani, Massimo Corleo, l'udienza preliminare del procedimento scaturito dall’inchiesta sulla nave Juventa. Sono 21 gli imputati per favoreggiamento all’ingresso non autorizzato in Italia di migranti. Nella prima udienza, i difensori hanno sollevato il problema della traduzione degli atti d’indagine, che sono contenuti in circa trentamila pagine, ma delle quali soltanto novecento sono state tradotte.
Si tratta di un processo unico nel suo genere, perchè per la prima volta sono messi sotto accusa i volontari delle organizzazioni internazionali che pattugliano il Mediterraneo cercando di salvare vite umane. Ed è per questo che la vicenda è seguita dai media di tutto il mondo. Meno, purtroppo, in Italia.
Durante la prima udienza, tanti attivisti di Amnesty international e di molte organizzazioni internazionali si sono radunati sotto il tendone che si trova al porto di Trapani non distante dal tribunale, e nel corso della mattinata hanno tenuto conferenze stampa e incontri da remoto con i presidi in Germania, Grecia e in altri Paesi. La nave Juventa è sotto sequestro.
L'inchiesta non sembra avere basi molto solide, come racconta anche un articolo de Il Post. L'indagine è durata quattro anni. E' costata parecchio, perchè sono stati utilizzati anche agenti sotto copertura. Sono stati intercettati anche dei giornalisti, e, cosa ancora più rivelante, l'inchiesta blocca da anni le attività di una Ong, la Jugend Rettet, che fra il 2016 e il 2017 ha salvato circa 14mila persone nel Mediterraneo.
«Il processo riguarda in sostanza il tentativo di criminalizzare la mobilitazione della società civile» nel soccorso dei migranti, dice Allison West, esperta di diritti umani che sta seguendo il processo per lo European Center for Constitutional and Human Rights (ECCHR).
In estrema sintesi, il tribunale di Trapani dovrà decidere se soccorrere persone nel Mediterraneo con le modalità seguite finora delle ong coinvolte sia legittimo, oppure sia sbagliato e contrario alle leggi italiane, come sostenuto negli ultimi anni da diversi partiti politici italiani, Lega in testa. La tesi che emerge è che le tre ong siano colpevoli di favoreggiamento dell’immigrazione illegale, un reato che punisce chi «promuove, dirige, organizza, finanzia o effettua il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato ovvero compie altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato», nel caso in cui queste persone non abbiano titolo per entrarci.
Secondo la procura, le ong addirittura si accordavano segretamente con i trafficanti di esseri umani in Libia e concordavano orario e luogo in cui farsi trovare per raccogliere i migranti che partivano dalle coste libiche a bordo delle proprie navi, sapendo che le persone in questione non avevano un regolare permesso per entrare in Italia.
Le 21 persone coinvolte fanno parte degli equipaggi delle navi approntate da Medici Senza Frontiere, Save the Children e Jugend Rettet attive nel Mediterraneo fra l’estate del 2016 e l’estate del 2017, cioè il periodo in cui si concentra l’indagine: sono persone che hanno guidato la nave o organizzato la missione, oppure che semplicemente si trovavano a bordo delle navi nei giorni di alcuni episodi giudicati particolarmente sospetti dalla procura.
La pena massima per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione illegale è di cinque anni, ma può anche essere triplicata fino a raggiungere i 15 anni in caso di ulteriori irregolarità, come trasportare più di cinque persone o mettere in pericolo la loro salute.
Secondo gli investigatori le ong «erano mosse nelle loro condotte criminose da aspetti economici», e che il loro fine, oltre che soccorrere le persone in mare, era la «raccolta e conduzione in Italia di un numero sempre maggiore di migranti, per mantenere alta visibilità mediatica e avere più donazioni».
Il procuratore capo di Trapani Gabriele Paci ha detto che la tesi della procura «non mette in discussione il lavoro che queste organizzazioni fanno per salvare le persone», ma che si limita a sostenere che in alcuni casi ci siano stati degli accordi con i trafficanti, tali per cui le ong sapevano quando e dove recuperare i migranti. «Questa è una cosa che non si può fare».
La tesi della procura si basa comunque su presupposti che in parte sono già stati smentiti. Già nel 2018 una dettagliatissima inchiesta di Forensic Architecture, un gruppo di lavoro dell’università di Londra, mostrò che durante le operazioni di soccorso di un barchino di migranti compiute dalla Iuventa il 18 giugno 2017 l’equipaggio della nave non riconsegnò le barche ai trafficanti, come sembrava da alcune foto diffuse dalla polizia italiana.
Nella stessa inchiesta, Forensic Architecture metteva anche in dubbio il fatto che nelle altre due operazioni contestate alla Iuventa, poi finite nelle carte del processo, ci fossero prove di una collusione coi trafficanti.
The Seizure of the Iuventa from Forensic Architecture on Vimeo.
Durante una recente conferenza stampa, uno degli avvocati che difende Jugend Rettet, Nicola Canestrini, ha respinto tutte le accuse portate avanti dalla Procura di Trapani e aggiunto che nelle carte processuali non ha trovato «nessun contatto» fra l’equipaggio della Iuventa e «persone coinvolte nelle tratte degli esseri umani in Libia, nonostante siano stati analizzati a fondo computer e cellulari».
Gli avvocati delle persone incriminate sostengono che le ong avessero l’obbligo di soccorrere quelle persone, citando diverse norme del diritto internazionale che obbligano qualunque imbarcazione a soccorrerne un’altra che si trova in pericolo.