di Katia Regina - Solo In America ci sono più armi che persone: 400 milioni solo quelle registrate legalmente per uso personale contro i 328 milioni di abitanti. In alcuni stati è possibile possedere un fucile già a quattordici anni e pare sia consuetudine, da parte di un genitore, regalare armi ai figli minorenni. In molti stati non ci sono limiti, puoi comprare bazuka, lanciafiamme, mitragliatrici da guerra e persino carri armati di seconda mano.
La passione per le armi è trasversale, nessuna distinzione di classe sociale, etnia, estrazione culturale o altro, la diffusione è democratica e probabilmente è proprio il cuore della tanto decantata democrazia americana.
Una sorta di sport nazionale che si fonda su quattro principi:
Principio di libertà: se posso averle mi sento libero di averne a mio piacimento;
Famiglia: tradizione ereditata sin da bambini, c'è sempre qualcuno del nucleo familiare che t'insegna a sparare sin da bambino, un po' come da noi ad andare in bicicletta;
Passione: un hobby come qualsiasi altro, collezionismo, per sport, praticato all'aperto o nei poligoni di tiro;
Stile di vita: l'arma come oggetto di moda, soprattutto tra i giovani, pubblicizzato da influencer ben pagati dalle case produttrici che non possono fare pubblicità diretta.
Tutto questo può apparire sconvolgente a noi italiani, ma l'aspetto che trovo inconciliabile è quello che analizza i profili personali degli americani che praticano questa passione. Ho sperato di trovare nell'elenco solo bianchi del Sud che votano Trump, certo quelli ci sono eccome, ma non mancano padri di famiglia timorati di Dio, ambientalisti, gente impegnata nel sociale, fricchettoni pacifisti e quant'altro. Insomma niente gente strana, solo americani normali, gli stessi che vietano gli alcolici ai loro figli fino al raggiungimento del ventunesimo anno di età, nonostante si diventi maggiorenni a diciotto. La terra delle contraddizioni, dei paradossi, si spinge oltre fino a negare che le stragi periodiche siano addebitabili al facile accesso alle armi da parte di chiunque, la sola colpa è del pazzo di turno. Nelle scuole americane ci si addestra attraverso simulazioni ad affrontare eventi di questo tipo, come da noi per gli incendi o il terremoto, questi episodi di sangue sono pari alle calamità naturali, non prevedibili, ma messi nel conto. In altre parole la cultura delle armi è talmente radicata in un'ampia fetta degli americani che non la estirpi e paradossalmente la lobby più potente non è quella dei fabbricanti di armi, ma quella che si è incancrenita nella testa di quanti coltivano questo culto.
Non ci sarà presidente capace di cambiare questo costume attraverso delle leggi, sempre che riesca a convertire una cinquantina di senatori, foraggiati dalle potenti industrie delle armi che si oppongono a votare leggi più stringenti. Non se ne parla proprio, neppure di considerare controlli mirati sui profili psico-individuali di quanti acquistano armi. E allora, si considerino pure le stragi periodiche come effetti collaterali indesiderati. Un numero di morti irrilevante rispetto al totale di vittime da arma da fuoco. Qualcuno lo dica apertamente, senza rischiare di passare per cinico o insensibile: basta con le ipocrisie, almeno in questo caso.
Per saperne di più vi consiglio di leggere il libro di Gabriele Galimberti, un fotoreporter che, meglio di chiunque altro, ha conosciuto, fotografato e raccontato questo aspetto dell'America armata. The Ameriguns, un racconto per immagini che gli è valso il primo premio del World Press Photo2021.