Mi sentivo sbagliata da sempre e non sapevo perché. Il caos regnava nel mio universo di pensieri, progetti per il futuro, emozioni contrastanti e forti come le correnti marine da che avevo memoria.
Non capivo. Non sapevo. Intuivo, si. Ma non ne ero sicura, non vedevo la rotta e mi sentivo in balìa di quella corrente sotterranea, silenziosa, invisibile, ma potente.
Intuivo che il mio destino non era quello di mia sorella, di amici, di familiari, che silenziosamente si sono adeguati al destino scelto da una società, da un sistema di pensiero preconfezionato, da un dictat che ci vuole tutti uguali. Io no, non riuscivo a piegarmi a quella direzione che non sentivo mia, in cui non trovavo forma, senso, gusto. Non ci trovavo me stessa, né la mia felicità, né un vago senso di soddisfazione o serenità.
Per me era troppo stretto quel posto in cui volevano farmi ancorare. La corrente, per quanto sconosciuta ha sempre avuto molto più fascino.
Mi sono sentita per questo incasinata, diversa, con qualcosa che non andava, senza speranza e senza soluzione ai meccanismi mentali che cercavano in continuazione problemi da risolvere. Equazioni che non tornavano, radici cubiche introvabili, formule da inventare, percorsi da costruire da zero, stradine accidentate dalla destinazione incerta.
Ho passato così la mia adolescenza e tutto il resto degli anni fino a questi 39. Con infinite domande che non trovavano risposta, dolori, violenze e delusioni da accettare di fronte alle quali mi sentivo una tigre incatenata con una voglia primordiale di libertà, di correre verso l'infinito, di sprigionare tutta l'energia della potenza inespressa dei suoi muscoli inutilizzati.
Un atleta sulle griglie di partenza, con i piedi incollati.
Un cucciolo di aquila, in un pollaio. Con la voglia di conoscere i cieli più alti e lontani, ma con la paura di non conoscere la propria identità.
Poi un giorno.....
Poi un giorno decido di darmi tempo. Decido di prendere il mio tempo e regalarmi la libertà di stare nell'unico posto che nel mio cuore sia mai riuscita a chiamare casa. La mia Sicilia.
Decido di decidere. Di radunare tutto il coraggio di cui sono capace e di pianificare ciò che il mio cuore e la mia anima bramavano da tempo. Trasferirmi in Sicilia. Da Milano. Si. Decisi di compiere la scelta più folle che avessi mai sentito. E che percepivo dentro invece come l'unica giusta da poter prendere in tutta la mia vita.
La testa da schiavo si dimenava e si ribellava ogni giorno, ripetendo le domande che mi venivano poste dall’esterno, anche da chi era nato e cresciuto a Marsala. “Ma sei sicura? Con questa mentalità? Non vedi quanti limiti ci sono qui? Saremo a nostro agio? E l'inverno? Ci annoieremo di sicuro!”
Ma quando sentivo col cuore non c'era niente di sbagliato, era tutto giusto, la mia anima era a casa, il mio cuore riusciva a espandersi e la mia mente riusciva a vedere chiaramente, senza dubbi, senza paure, senza condizionamenti, con una sicurezza in me che non avevo mai conosciuto stando a Milano.
Riuscivo ad essere saggia e matura, a decidere per me e a dare supporto agli altri. Ero di nuovo energia pura.
I miei occhi si illuminavano non appena toccavo terra in Sicilia. Il mio viso cambiava, diventava rilassato con una espressione profonda di una bellezza luminosa e un cambiamento impossibile da non notare.
Ero nel mio ambiente, ero a mio agio in tutto e non volevo essere da nessun'altra parte. Il pensiero di tornare a Milano da sempre mi faceva sentire un cappio al collo, un senso di soffocamento, di tristezza profonda, una condanna a morte. E inconsciamente era così che vivevo a Milano. Come una condannata a morte. In cella. Tra le sbarre della sicurezza e del finto benessere che puzza di frustrazione ad ogni respiro e palpita di voglia di fuga ad ogni pensiero.
Un giorno. Mentre vivevo la decisione di prendere il mio tempo e pianificare il trasferimento, mia mamma ha un momento di defiance. Non si ricorda dov'è stata nell'ultima ora, era in giro da sola, in macchina, e stava andando a prendermi qualcosa da mangiare perché io non stavo bene.
Non si ricordava nulla. Era confusa e fragile, bisognosa di conforto e appoggio, che fino ad allora aveva con tutte le sue forze rifiutato. Era come una bambina: fragile e indifesa.
Mia sorella doveva arrivare quel giorno col suo cucciolo di due anni e mezzo e noi contavamo i giorni. Mia sorella, per dei disguidi, non poté partire. Non li vedevamo da Natale. Mia madre passò tutta la serata a chiedermi "ma Raffaella non è venuta?" "E quindi non viene?" Un ripetersi straziante di queste domande, dopo che continuava a cancellare la risposta, forse per il troppo dolore.
In quel momento, in quella sera, percepii tutto l'amore che ci aveva sempre dato, anche se maldestramente, anche se troppo e troppo spesso soffocante, anche se tossico e spesso sotto inconsci ricatti di varia natura in cambio. Anche se sotto la cifra del controllo continuo e costante.
Era però un amore sconfinato e profondo che la portava a fare cose straordinarie ogni giorno, fino a perdere se stessa e la memoria. Fino a consumarsi allo stremo delle forze. E noi tutto questo fino a quel momento lo avevamo dato per scontato.
Lei era sempre stata la roccia della famiglia. Lei ce la faceva sempre. Non mancava mai. Era, anzi, troppo presente. Aveva sempre un pensiero per tutti, si metteva nei panni di ognuno di noi e non si dava mai pace, anche se ci sapeva a posto.
In quel frangente capii che era la mia roccia, sempre pronta a partire e scattare per risolvere qualsiasi situazione, si, sbuffando, sbraitando, additando, giudicando, lamentandosi spesso, ma non mancava mai di arrivare ovunque.
Quella sera assaggiai la sensazione di perderla. Commisurata alla mia richiesta di indipendenza e crescita fatta a me stessa e all'universo.
Un nuovo gradino di crescita era lì che mi aspettava. Completamente e assolutamente a ritmo con il momento che stavo attraversando. L'autonomia, l'indipendenza, il farcela da sola.
L'universo risponde sempre, e ci mette sempre alla prova, per testare la risolutezza delle nostre decisioni.
Sarebbe stato facile fare un passo indietro in quel frangente, ma avrebbe significato rientrare nei vecchi schemi, dopo tanto lavoro interiore fatto.
Dovevo mantenere la decisione a qualsiasi costo. Non è stato facile, non lo è mai quando fai qualcosa di importante, che prima non hai mai fatto. L’unica cosa che puoi fare è buttare il cuore oltre l’ostacolo.
Quella sera capii finalmente anche il senso di tutta la mia esistenza. Il mio ruolo in famiglia e nel mondo. Era guarire. Guarire me stessa, le mie ferite e quelle di intere generazioni prima e dopo di me, delle persone intorno a me.
Non potevo trovare un amore stabile perché io ero fatta per trovare l'amore per me stessa e donarlo agli altri, aiutandoli a guarire a loro volta. E per fare questo avrei avuto bisogno di tutte le mie energie e di tanto spazio perché potessero espandersi e raggiungere i confini dell'universo.
Niente e nessuno era lo stesso dopo il mio passaggio. Era ora di vederlo e di riconoscerlo. Ed era ora di utilizzare tutto questo a uno scopo più alto, ad assolvere alla mia missione su questa terra: essere crescita, conoscenza e amore per me e per gli altri. Mi era arrivata questa risposta dopo una visualizzazione guidata durante un seminario. E da allora tutto si era illuminato: era questo che sono venuta a fare in questo mondo ed era qui che la mia storia personale mi stava portando.
Maria Giovanna Trapani