Con Giuseppe Costa la rieducazione del carcere ha fallito. Il carceriere del piccolo Giuseppe Di Matteo, dovrà scontare dodici anni di carcere per aver continuato ad essere un mafioso.
Non c’è prova, scrive il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Palermo Cristina Lo Bue, della “dissociazione di Costa dall’associazione mafiosa, né durante la detenzione, né in seguito alla sua scarcerazione”.
Costa il 3 febbraio 2017 scontata la condanna a 25 anni di carcere, cinque in meno per buona condotta è tornato libero. A fine dicembre 2020 è stato di nuovo arrestato. Secondo il giudice, che ha accolto la ricostruzione del procuratore aggiunto Paolo Guido e del sostituto Gianluca De Leo, con Costa è fallito l’obiettivo rieducativo del carcere.
Non ha ripensato, per dissociarsene, all’orrore a cui ha contributo, alla prigionia del piccolo Giuseppe Di Matteo. A 60 anni Costa avrebbe cercato di tornare a fare valere il suo peso mafioso. E avrebbe avuto rapporti stretti con Francesco e Pietro Virga, figli di Vincenzo Virga, storico boss di Trapani e affiliato di Matteo Messina Denaro, e condannato all’ergastolo per l’omicidio di Mauro Rostagno.
"La rinnovata adesione a Cosa nostra nel tempo, durante e dopo la carcerazione – scrive il giudice – nonostante la dura condanna inflitta, il tempo trascorso dall’atroce epilogo del sequestro Di Matteo, appare sintomatica di una tendenza a delinquere dell’imputato che ha scelto di improntare la sua vita, lontano dai binari della legalità, rinnovando nel tempo la sua adesione a Cosa Nostra”.