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01/02/2022 06:00:00

Donne in parlamento emancipate... dalla propria identità

 di Katia Regina - Indossare il cognome del marito come se fosse una pregiata pelliccia, un'immagine assolutamente patetica, mi riferisco alla pelliccia, capo ormai bandito vista la nuova sensibilità animalista.

La questione va ben oltre il semplice gossip quando si tratta di convalidare un cognome, per la più alta carica dello Stato, che non esiste in alcun documento di riconoscimento della candidata. Negli ambienti artistici il problema non si pone, esiste la distinzione tra nome d'arte e nome anagrafico. La cosa si dovrebbe complicare quando invece si ricopre una carica istituzionale, ma non in Italia, a quanto pare. Proverò a spiegare meglio per capire, io per prima, quanto sia opportuno identificarsi con il cognome del proprio marito, in alcuni casi anche se ormai separata o divorziata. La legge italiana consente alla moglie di aggiungere al proprio il cognome del consorte anche se solo in ambito sociale, una libera scelta che può trovare giustificazioni di vario genere, dalla più opportunistica a quella più romantica. E fino a qui nulla da eccepire. In caso di separazione si può continuare a usare il cognome del marito a meno che non ci sia una disposizione diversa da parte di un giudice. Con il divorzio cessano gli effetti civili del matrimonio, la moglie perde il cognome del marito, ma può chiedere di mantenerlo nell'interesse suo o della prole, anche in questo caso sarà un giudice a valutare se vi sia una condizione meritevole di tutela. Senza questa disposizione l'ex marito può agire in giudizio e chiedere addirittura il risarcimento danni. Questo passaggio, per quanto noioso, è stato necessario per comprendere meglio di cosa stiamo parlando in termini giuridici, va da sè che non è questo l'aspetto che mi interessa.

 

Cosa può spingere una donna a scegliere di rinunciare al proprio cognome, alla propria identità?

Si fa un gran parlare di emancipazione, diritti, discriminazione di genere etc... si dibatte sulla necessità di un nuovo linguaggio non sessista. Sono state inventate le quote rosa, assimilabili all'obbligo di assunzione di disabili per le aziende con più di quattordici dipendenti... insomma si fa quel che si può, e ci sono donne assolutamente straordinarie che ogni giorno combattono in silenzio per fare valere i propri diritti in diversi ambiti. Sotto i riflettori invece troviamo le Casellati, le Santanché, le Moratti... donne che hanno scelto di essere in primis mogli di... anche nei casi in cui non lo sono più. Ciascuno è libero di fare ciò che vuole, nessun giudizio sulle reali professionalità, mi prendo solo la licenza di valutare quanto sia opportuno affidare il cambiamento, rispetto alla possibilità di occupare un ruolo storicamente appannaggio di soli uomini, a quante non hanno avuto la determinazione di arrivare al potere chiamandosi con il cognome che compare nei loro documenti di identità.

Faccio fatica ad accettarlo, così come faccio fatica ad accettare che molti deputati abbiamo potuto scrivere nomi assurdi nel segreto dell'urna, dissacrando un momento solenne con la leggerezza del bontempone da bar dello sport. Li chiamano Grandi elettori, ma di grande abbiamo visto solo la malafiura in mondovisione. Se è vero che il linguaggio condiziona il nostro pensiero, allora sarà il caso di cambiare questo termine con elettori delegati se non incapaci.

Consigli per la lettura: Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés; Storia di un cognome di Elena Ferrante, un volume della saga L'amica geniale, una lettura gradevole per distrarsi dalle considerazioni appena fatte, scelto soprattutto per il titolo calzante.

 

 

 

 



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