Ci stiamo occupando in questi giorni, su Tp24, degli eventi che hanno portato al singolare scioglimento per mafia del Comune di Pachino. Perchè è una vicenda interessante? Perché dimostra come l'azione combinata di politica e certa stampa, in un territorio, possa portare anche ad eventi gravi - lo scioglimento addirittura per mafia di un'amministrazione comunale - anche se poi le vicende giudiziarie portano alla luce fatti molto diversi da come sono stati raccontati.
E' una storia lunga, lo sappiamo. Ma va letta con attenzione. Come abbiamo sin qui raccontato, le inchieste del giornalista Paolo Borrometi su Pachino camminavano pari passo con le indagini degli inquirenti, con una differenza non di poco conto: le inchieste sul sito di Borrometi, "La Spia", cominciano nel 2016. Ma l'avviso di conclusione delle indagini, ai soggetti coinvolti nell'inchiesta Araba Fenice, arriverà solo il 25 Luglio 2018, giorno del loro arresto.
Appare evidente, dal numero di pubblicazioni e dal tenore del loro contenuto, il martellamento mediatico posto in essere da Borrometi. Per ogni articolo c'è una reazione, e per ogni reazione registrata in risposta agli articoli su La Spia, cresce per il giornali la possibilità di essere accreditato tra i nomi dei cosiddetti paladini del giornalismo antimafia, detentori di verità assoluta e alfiere della legalità.
Se, a caldo, i destinatari delle provocazioni rispondevano d’impeto con commenti sui social e nella messaggistica privata che puntualmente venivano denunciati da Borrometi, a lungo andare i protagonisti dei suoi articoli hanno imparato a rivolgersi ai loro legali. È il caso di Gabriele Giuliano che, appunto, attraverso il suo avvocato inoltrò una richiesta di rettifica che venne sì pubblicata ma alla quale seguì una controrisposta.
Il 17 marzo 2018 l’avvocato Giuseppe Gurrieri replicava a precisi passaggi negli scritti di Borrometi. Nell’articolo dell’8 gennaio 2018 “Dal consiglio comunale alla mafia, passando per società ed attentati ecco cosa accade a Pachino”, il legale contestava le ricostruzioni del giornalista - le medesime degli inquirenti in un secondo momento - che vedevano Salvatore Giuliano e Giuseppe Vizzini a capo della società “La Fenice” e non i loro i figli, Gabriele Giuliano e Simone Vizzini. Salvatore Giuliano e Giuseppe Vizzini erano dipendenti in piena regola. Il legale, per conto dei suoi assistiti, disconoscendo come tutti - tranne Borrometi, evidentemente - le indagini a loro carico, smarcava poi l’azienda dalle accuse di minacce ed estorsioni.
Nell’articolo del 16 febbraio 2018 “I ragazzi di Pachino hanno vinto: ‘Voi mafiosi Giuliano non siete nessuno’!”Borrometi accostava il nome di Gabriele Giuliano alla mafia. «Giuliano Gabriele è soggetto incensurato e del tutto estraneo a procedimenti penali per fatti di mafia e quindi la sua “appartenenza al sodalizio criminale” è destituita di ogni fondamento», faceva sapere il legale.
Anche in questo caso l’avvocato è costretto a precisare che i titolari delle quote societarie della società “La Fenice” sono intestate a Gabriele Giuliano e a Simone Vizzini e non ai loro padri ai quali puntualmente veniva attribuita da Borrometi la gestione reale dell’azienda a fini estortivi e con il metodo delle minacce e delle intimidazioni.
Segue “La società del capomafia Giuliano è socia del Consorzio di Tutela IGP “Pomodoro di Pachino”, articolo apparso su “LaSpia” del 27 febbraio 2018. Non solo, ancora una volta, l’avvocato si trova costretto a dover puntualizzare la regolare posizione lavorativa di Salvatore Giuliano quale dipendente della società La Fenice e smentire il fatto che Gabriele Giuliano sia a processo per minacce di morte. Borrometi asseriva pure che Gabriele Giuliano fosse stato denunciato per droga salvo poi cancellare questo dettaglio senza informarne i lettori e non tenendo conto che lo stesso Gabriele Giuliano avesse già stampato l’originale.
«Del tutto privo di interesse giornalistico ma meramente calunnioso è poi il riferimento al fatto che l’altro socio della società “La Fenice” Srl è figlio di Giuseppe Vizzini, eletto nel consiglio comunale di Pachino nel 1997, poi arrestato durante il mandato e successivamente assolto», continua l’avv. Gurrieri. «Si mettono in relazione infatti due accadimenti avvenuti ad oltre venti anni di distanza, quando, a titolo di esempio, l’attuale socio ed amministratore della società “La Fenice” srl aveva appena otto anni, facendolo figurare quale colpevole di un fatto che è un non fatto, e cioè che il padre sia stato prima arrestato, assolto e poi – ma questo il giornalista Borrometi non lo dice – anche risarcito per l’ingiusta detenzione patita».
Sui coinvolgimenti per fatti di droga attribuiti a Gabriele Giuliano fu presentata anche una querela alla Procura di Ragusa che tuttavia venne archiviata.
L’avv. Gurrieri, contestando anche l’articolo “Le reazioni alla presenza della Azienda del Capomafia nel Consorzio. PD e M5S: «Gravissimo, intervenire subito»” pubblicato lo stesso giorno, cioè il 27 febbraio 2018, sarà costretto a ripetersi nelle precisazioni dal momento in cui le informazioni poco precise scritte da Borrometi nei confronti dei suoi assistiti furono rimbalzate nelle note stampa dell’ex Presidente del Parco dei Nebrodi in quota PD Giuseppe Antoci e dal sen. Mario Michele Giarrusso all’epoca esponente del M5S, componente della Commissione Nazionale Antimafia, il quale chiedeva anche il commissariamento del Consorzio IGP Pomodoro di Pachino, oltre allo scioglimento del Comune nei suoi spazi social.
Nella riposta risposta del giornalista alle repliche dell’avv. Giuseppe Gurrieri, intervenuto per conto dei suoi assistiti, si fa strada una premonizione sibillina da parte di Borrometi: «Non rispondiamo alle provocazioni, certi che il tempo ci darà ragione». E, a proposito di fatti, va detto che Tribunale di Siracusa ha dato ragione al legale e ai suoi assistiti escludendo l’intestazione fittizia della società “La Fenice” di Gabriele Giuliano e Simone Vizzini.
Siamo dunque davanti a ricostruzioni inesatte, deduzioni e ipotesi investigative coperte da segreto istruttorio che invece diventavano notizia su “LaSpia”. Il tutto sembra preordinato per un finale già scritto: sciogliere per mafia il comune di Pachino.
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