Continuiamo la nostra inchiesta a puntate per capire i fatti che hanno determinato lo scioglimento per mafia del Comune di Pachino. Qui la prima puntata, qui la seconda.
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Dove eravamo rimasti? La relazione dell’ex prefetto Gradone del 2015 passata ai parlamentari della Commissione Nazionale Antimafia, tra i cui componenti figura l’allora senatore Beppe Lumia, finisce nelle mani del gironalista Paolo Borrometi che, come abbiamo visto, dal 22 agosto 2016 inizierà a scrivere e pubblicare sul giornale on line “LaSpia” da lui diretto una serie di articoli che si riveleranno funzionali a promuovere lo scioglimento per mafia del Comune di Pachino.
Il 29 luglio 2017, per esempio, rimarcava non solo l’appartenenza di Salvatore Giuliano al clan Cappello, ma addirittura anche al clan Trigila facente capo al clan Santapaola, che notoriamente sono clan tra loro contrapposti.
Perchè Borrometi fa questo errore? A farglielo credere è la nota n° 109 della Relazione del II semestre 2016 della Direzione Investigativa Antimafia che riporta per esteso nel suo scritto: “Ramificazioni del clan catanese Cappello sono presenti anche nel comune di Pachino attraverso il vetusto clan Giuliano”. Probabilmente, quando Borrometi riferiva nei suoi scritti che il clan Giuliano fosse attivo nel traffico di stupefacenti, si era lasciato convincere dalla nota n° 92 della Relazione del I semestre della DIA: “[…]Si richiama, inoltre, nel Comune di Pachino, il tentativo di riorganizzazione del clan Giuliano dedito soprattutto al traffico di stupefacenti”.
Il sodalizio con il clan Trigila esattamente come il traffico di stupefacenti sono certezze che però non reggeranno nel corso del processo “Araba Fenice”.
Il 14 dicembre 2017, nel corso dell’udienza preliminare di Salvatore Giuliano e del figlio Gabriele verrà chiesta e sarà ottenuta una modifica del capo di imputazione. Nel capo di imputazione originario di Salvatore Giuliano era scritto: “avvalendosi della forza intimidatrice derivante dalla sua appartenenza al sodalizio mafioso denominato clan Trigila”. Da quella udienza Giuliano non risulta essere appartenente al clan Trigilia ma esclusivamente all’omonimo clan Giuliano.
Inoltre, nella sentenza in primo grado di “Araba Fenice”, per stessa richiesta del Pubblico Ministero, è esclusa l’aggravante ex art. 416 bis c.p., cioè di avere commesso il reato allo scopo di favorire l’associazione mafiosa per il traffico di stupefacenti. Gli unici due casi di detenzione e spaccio di stupefacenti accertati nel procedimento riguardano i fratelli Aprile - a cui Borrometi ha dedicato una cospicua antologia - e altri. Pertanto, secondo quanto emerge dal processo, il clan Giuliano non ha nulla a che vedere con il traffico di stupefacenti.
Andiamo avanti sul focus di questa inchiesta, ovvero lo scioglimento del Comune di Pachino, sul quale Borrometi non demorde, e il 21 agosto 2017 titola coraggiosamente un nuovo articolo: “La mafia a Pachino entra in politica: le collusioni e i consiglieri eletti dal boss Giuliano”, rivendicando l’esclusiva del documento da lui precedentemente pubblicato dell’ex prefetto, il dott. Gradone.
“Si è in particolare accertato il tentativo, non riuscito, da parte di Salvatore Giuliano, personaggio di spicco della criminalità organizzata locale, recentemente scarcerato, di fare eleggere un Sindaco a lui gradito. Tale progetto era, evidentemente, finalizzato ad ottenere favori dall’amministrazione comunale, quali l’aggiudicazione d’appalti, commesse a trattativa privata, posti di lavoro ed altre attività”.
A riportarlo sul filone dello scioglimento per mafia del Comune di Pachino, la votazione del piano di riequilibrio finanziario del consigliere Salvatore Spataro. Non un atto di indirizzo politico ma amministrativo che lo ha indotto ad affermare con assoluta certezza il passaggio del consigliere Spataro tra i banchi della maggioranza, e quindi la prova certa - che certa non lo era affatto - che Salvatore Giuliano e il suo clan potessero finalmente ottenere i favori desiderati quali “l’aggiudicazione di appalti, commesse a trattativa privata, posti di lavoro ed altre utilità”. A indirizzarlo su questa strada il refuso (che può sempre capitare, a chiunque!) su un articolo pubblicato dal “Nuovo Sud” che inquadrava Spataro tra i consiglieri di maggioranza. Il passaggio dall’opposizione alla maggioranza avviene con delle precise transazioni politiche che, di fatto, non si sono mai consumate all’interno del Comune di Pachino.
Inizia così una campagna di discredito non solo verso Giuliano e i suoi familiari e amici, ma anche nei confronti di Salvatore Spataro e del sindaco allora in carica Roberto Bruno.
Vedremo domani come continua...