Quantcast
×
 
 
16/01/2022 06:00:00

"Notizie ai margini": i dimenticati, ancora una volta, sono i migranti

Come dimostrato dal IX Rapporto di Carta di Roma, la diffusione delle notizie ha cambiato nuovamente faccia, ponendo maggiore attenzione su questioni che ogni persona sente vicine e tralasciando quelle che si pensa riguardino sempre gli altri. E per miopia e per superficialità.

Come ha evidenziato Giuseppe Milazzo, ricercatore dell’Osservatorio di Pavia, nel 2021 c’è stata una riduzione di notizie relative all’immigrazione, “con il 21% in meno rispetto al 2020”. Anche nei telegiornali, infatti, la pandemia ha stravolto le agende. Ma non solo: come dimostrato dal ricercatore, “nei primi dieci mesi del 2021 le notizie trasmesse sono il 24% in meno rispetto allo stesso periodo del 2020. Nel 2021 la criminalità è assente come nucleo semantico”.

Secondo il IX Rapporto di Carta di Roma, Notizie ai margini, tenutosi a Roma e trasmesso in diretta su Facebook e su Repubblica.it, sembrano lontani i tempi in cui si strumentalizzava la migrazione, che diventava l’unico problema da risolvere anche con metodi impensabili. Quando il migrante era lo spauracchio del popolo e gli sbarchi il vecchio virus da contrastare, con vaccini fai-da-te, oltre i limiti del disumano, inventati e proposti da politici impresentabili.

I titoli e le scelte lessicali in cui l’altro, cioè lo straniero, il migrante (termine utilizzato in contesti negativi e allarmanti), il rifugiato o clandestino (quest’ultimo, ad esempio, errato dal punto di vista giuridico quando si parla di persone richiedenti protezione internazionale e utilizzato come giudizio negativo aprioristicamente), sulle bocche dei più tutti sinonimi quando a fare da padrona è l’ignoranza, non hanno più un peso degno dei tempi passati. E gli ultimi, dunque, diventano anche i dimenticati. Ancora una volta.

Con l’avvento della crisi pandemica, infatti, le notizie sulle migrazioni sono state ridotte notevolmente, per riprendere vita, poi, in vista di campagne elettorali o situazioni politiche che richiedono risposte provenienti dalla pancia della popolazione. La modalità di approccio alle stesse non è cambiata, anzi, chi se ne occupa ha anche scoperto la sua validità per la crisi pandemica e i vaccini: teorie complottistiche diffuse a macchia d’olio, slogan lontani dalle analisi approfondite e diffusione della paura data da invasioni la cui faccia è cambiata ma non notevolmente. Almeno quella di chi ne è artefice.

Come raccontato da Ilvo Diamanti, docente dell’Università di Urbino e direttore scientifico di Demos&Pi, “in Europa i flussi migratori non riguardano più solo noi. Perché coinvolgono la stessa Europa. All’interno. O meglio, ai confini verso Est. Fra Polonia e Bielorussia”. Con il nuovo Presidente Joe Biden e il conseguente cambiamento delle strategie geopolitiche americane è cambiata la loro provenienza. Ad oggi, le nuove migrazioni dipendono dalle crisi medio-orientali. Ma non sembrano costituire più la maggiore preoccupazione dei cittadini né l’emergenza prioritaria. “Il Covid è uno ‘straniero invisibile’, che ha reso ‘meno visibili gli stranieri’ che provengono da altri Paesi. Lontani. Soprattutto, ha sottratto alle migrazioni e ai migranti centralità nello ‘spettacolo della paura’, che fa ascolti, sui media”, ha continuato Diamanti.

Il Rapporto presentato da Carta di Roma, associazione nata per attuare il protocollo deontologico per una corretta informazione sui temi dell’immigrazione, espone come nel 2021, delle testate analizzate, 660 sono stati gli articoli in prima pagina riguardanti questi ultimi. Rispetto al 2020, dunque, si è assistito a una diminuzione del 21% circa. Tra le parole maggiormente usate, invece, rimane la centralità dell’Europa, spazio di confronto sulle politiche migratorie, di approdo e transito, protagonista di muri, confini, frontiere. Circa i soggetti più nominati, invece, si va da Draghi a Mattarella, da Macron a Merkel e Biden. E, ancora, Salvini, Meloni, Erdogan, Orban e Lukashenko. Ma anche Papa Francesco, le Ong impegnate nelle operazioni di salvataggio, l’Onu e le sue agenzie.
Le persone migranti, ancora una volta, sono state descritte come entità astratte. Come numeri invisibili ma sempre presenti quando necessari. Sono state deumanizzate con la speranza che la loro strumentalizzazione divenga più celata, e semplice.
Carlo Bartoli, Presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei giornalisti, ha trovato “il rapporto Carta di Roma un documento esemplare perché connette numeri parole e cose, un manuale contro la percezione senza sostanza, sulla diffusione della percezione, sulla disconnessione tra parole e cose”. Come si può leggere nel Rapporto, infatti, il 2021 ha visto una diminuzione consistente delle notizie sull’immigrazione e un parallelo ridimensionamento del sentimento comune di insicurezza verso la stessa, raggiungendo uno dei livelli più bassi dal 2005. Quando se ne parla, però, uno dei problemi evidenti è la modalità utilizzata. Chi parla di immigrazione? Le puntate televisive che hanno visto ospiti pertinenti rispetto al criterio applicato sono state 50 su 311, equivalenti al 16% del campione. I soggetti complessivi di origine straniera ospitati sono stati 87, distribuiti tra tre funzioni principali: l’esperto/opinionista (26%), il portavoce (“&%), il protagonista (23%).
Il caso di Saman Abbas, ad esempio, è stato ridotto a un discorso attorno alle responsabilità dell’islam, con una polarizzazione e politicizzazione del dibattito, visti anche gli (in)evitabili esponenti di partiti ospitati ai programmi televisivi. Ai soggetti di origine straniera invitati a parlarne, inoltre, è stata riservata una posizione difensiva. La mancanza di interventi da parte di esperti super partes ha generato l’impossibilità di approfondimento per non cadere in semplificazioni e stereotipi pericolosi. Risse verbali, interventi offensivi nei confronti degli ospiti di origine straniera e superficialità hanno avuto la meglio. Non inaspettatamente, purtroppo.

Un’umanizzazione delle storie raccontate, seppure per il breve tempo concesso dai social, avviene su Instagram, tramite il racconto per immagini che svelano le persone e i loro volti. La pubblicazione e conseguente diffusione di immagini atroci pone la questione del limite tra diritto di cronaca/rispetto della privacy e della dignità della persona, e la speranza che il messaggio che l’immagine vuole tramandare arrivi quanto più possibile uguale a tutto il pubblico.
“I frame più frequenti riguardano il dibattito politico, la quantificazione dei migranti, la cronaca degli arrivi. Scarsissima rappresentazione ha il tema del viaggio, una rappresentazione dei migranti come entità quasi astratte, da amministrare e gestire, e non come donne e uomini in movimento con il proprio bagaglio umano ed esperienziale”, ha affermato Chiara Zanchi, ricercatrice presso l’Università degli Studi di Pavia.

Ripercorrendo l’andamento dei titoli sull’immigrazione nelle prime pagine di sei quotidiani nazionali, in valore assoluto, gennaio 2021 ha visto protagonisti i migranti lungo la rotta balcanica, bloccati al gelo in Bosnia, e quelli al confine USA-Messico, ma anche i salvataggi e i naufragi nel Mediterraneo. Se a febbraio il tema ha toccato il minimo dell’anno, a marzo è ritornato con la chiusura dell’inchiesta della Procura di Trapani su alcune ONG per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il viaggio di Draghi in Libia e il rinvio a giudizio di Matteo Salvini nel processo Open Arms per aver impedito l’attracco a Lampedusa alla nave della ONG spagnola con a bordo i migranti salvati, nel 2019, sono stati discussi ad aprile; gli sbarchi sulle coste italiane, l’arrivo di migranti nell’enclave spagnola di Ceuta, le conseguenti tensioni Spagna-Marocco e la sentenza Gregoretti, nel mese successivo. I titoli di giugno si sono concentrati sul vertice di Bruxelles, sulla nuova amministrazione statunitense e l’atteggiamento verso i migranti centroamericani, e sulla scomparsa di Saman Abbas, a Novellara, per passare, a luglio, al naufragio di Lampedusa e all’omicidio, avvenuto a Voghera, che ha visto come vittima un cittadino marocchino e come assassino il leghista assessore cittadino alla sicurezza. Da agosto a ottobre, poi, si è passati dalla presa del potere dei talebani in Afghanistan e la conseguente fuga dei suoi cittadini, anche a seguito del ritiro dei militari USA e degli alleati alle responsabilità degli occidentali nell’accoglienza di questi ultimi. Si è giunti, poi, alle frustate perpetrate dalle guardie di frontiera al confine tra Stati Uniti e Messico sui migranti haitiani, oltre all’ingiusta sentenza che ha visto Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, e il suo modello di accoglienza condannati. Giustamente esaltati ovunque, ma criminalizzati in questo Paese.

L’allarmismo si è limitato al 7% nell’insieme del campione; il Giornale è stato la testata giornalistica vincitrice in questa categoria. Il termine clandestino, ad esempio, viene utilizzato maggiormente in giornali con un’impronta editoriale di contrasto all’immigrazione, tramite un linguaggio provocatorio e denigrante, oltre che inneggiante a un’invasione inesistente. Profugo e rifugiato vengono inseriti, invece, in contesti negativi di allarme e di cronaca nera, come sinonimi di migrante. Il fenomeno migratorio, infatti, sin dal 2013 viene descritto come emergenza permanente, crisi infinita che muta nel tempo e si espande dalla cronaca al dibattito politico, dall’Italia alle altre istituzioni, non solo europee.

Nel 2021, i telegiornali hanno dimostrato un interesse al tema delle migrazioni e delle minoranze multiculturali e religiose inferiore rispetto agli anni passati, pari al 4,3% delle notizie. L’attenzione alla criminalità e alla sicurezza hanno riguadagnato centralità rispetto al 2020, assieme al tema dell’accoglienza e a differenza della categoria riguardante la società e la cultura, ridottasi notevolmente. Si è parlato meno di terrorismo, inoltre, e di economia e lavoro, se non per gli incidenti e i morti avvenuti e lo sfruttamento dei braccianti nella piaga sociale rappresentata dal caporalato. Generalmente, però, la diminuzione consistente delle notizie sull’immigrazione hanno ridotto l’allarmismo derivante dalla stessa con l’associato sentimento di insicurezza verso persone prive di colpe.

“Quello che è successo in Afghanistan è stato un cambiamento radicale, la situazione attuale è talmente critica che sembra che solo il 2% della popolazione abbia del cibo e il 98% ha difficoltà ad avere cibo per la propria famiglia, quello che riusciamo a fare è dare notizia via social media. In questo momento è fondamentale parlare di Afghanistan, non far calare l’attenzione sul tema. Mi auguro che occasioni come questo rapporto possano accendere nuovamente i riflettori sulle condizioni delle persone in Afghanistan, soprattutto delle donne”, come deducibile anche dalle dichiarazioni della giornalista Rahel Saya, è necessaria una mobilitazione per mettere luce sull’attuale crisi afghana.

La maggior parte dei pochi soggetti intervistati sono stati chiamati a raccontare le loro storie di vita, soprattutto in vista della Giornata internazionale del rifugiato; altri, invece, sono stati intervistati circa gli sbarchi sulle coste italiane e sulla situazione dei migranti sulla rotta balcanica. Non si tratta solo di spostamenti: importante diventa il racconto del viaggio, la coraggiosa decisione di intraprenderlo, la conseguente partenza. Il percorso, a piedi, via terra, mare, aerea, e l’arrivo nel paese straniero, che è solo uno dei tanti inizi. Raramente, però, chi ha vissuto la migrazione è chiamato a parlarne. Spesso, infatti, sono le istituzioni del posto ospitante a farlo, discutendone in astratto e finendo per generare una reazione contraria a quella, forse, desiderata: paura verso un fenomeno i cui effetti sono visti come drammatici sulle vite di tutti.

A seguito della presa del potere sul territorio da parte dei talebani, la situazione afghana non può che peggiorare. In questi mesi, la crisi economica, sociale e culturale si è acuita. I prezzi dei generi alimentari sono aumentati notevolmente. Sono più di 23 milioni le persone portate già alla fame. Il Programma Alimentare delle Nazioni Unite ha avvertito: un mancato intervento della comunità internazionale può portare solo a un aumento dei morti di fame. Le donne sono state completamente escluse dalla vita sociale, dal lavoro e dall’istruzione, dopo anni di dure lotte per la conquista dei diritti fondamentali. Oltre alla messa in atto della persecuzione verso alcune minoranze etniche, i giornalisti vengono trattati come nemici e, per questo, torturati, incarcerati e fatti sparire. Qualsiasi forma di protesta è stata repressa con la violenza. Se all’inizio delle preoccupanti vicende la stampa italiana presentava notizie dall’Afghanistan, oggi, invece, diventa difficile trovarne, così come leggere le storie di chi da quei territori è riuscito a scappare, perché poco o per niente interpellati.

“Guardare le foto dell’umanità che affonda vuol dire diventare testimoni. L’occhio che vede, conserva e rammenta. L’occhio si nutre di presenza e la presenza è Storia. Queste fotografie ci dicono che siamo tutti testimoni e la coscienza ne è coinvolta, non può dirsi estranea”, ha affermato Dacia Maraini su La Stampa. Nel racconto della migrazione molto spesso accade che si perda il senso di umanità e dignità nell’occhio di chi la guarda, rendendo oggetti strumentalizzabili persone che si muovono, alla ricerca di quel senso loro strappato. Rendere la migrazione il problema sociale, causa di tutti i mali, anche culturali (strutturali e sistematici della nostra società, invece) mira all’indebolimento della volontà di approfondimento di movimenti naturali che mai nessuno slogan politico potrà fermare. Perché la possibilità di ricerca di una vita più degna è un diritto inalienabile e inviolabile della persona. Scriverne chiaramente, dando voce ai protagonisti, è quanto le strutture addette all’informazione dovrebbero ritornare a fare.

Giorgia Cecca